La crisi Covid fa aumentare i nuovi poveri in Italia e ricade in particolare su famiglie con minori, donne, giovani, nuclei di italiani (che ora risultano in maggioranza, 52% rispetto al 47,9 % dello scorso anno) e persone in età lavorativa. Una situazione che è destinata a peggiorare per autonomi e minori. E le misure di emergenza introdotte dal governo, per un insieme di cause che vanno dalla “scarsa chiarezza” alla “farraginosità delle procedure amministrative è di aver generato una frattura fra gli “insider”, che già godevano di forme di protezione e assistenza pubblica, socializzati rispetto alle procedure e in grado di gestire le difficoltà, e coloro che, invece, non avevano mai avuto prima di allora accesso al sistema”. I quali sono rimasti esclusi. Così ancora una volta ha dovuto supplire la solidarietà privata. È quanto emerge dal rapporto Rapporto Povertà della Caritas. Nel periodo maggio-settembre 2020, il 45% delle persone che si sono rivolte alle strutture dell’organismo della Cei lo ha fatto per la prima volta mentre negli stessi mesi del 2019 la percentuale di “nuovi poveri” si fermava al 31%. Il rapporto però fa emergere anche l’attivismo dei volontari, molti dei quali giovani, in sostituzione delle persone over 65 rimaste a casa durante il lockdown. Dai dati forniti da 153 Caritas diocesane (il 70,1% del totale), il numero di volontari risulta pari a 62.186 (in media circa 406 a diocesi); di questi 19.087 sono gli over 65 che si sono dovuti fermare per ragioni di sicurezza sanitaria e 5.339 le nuove leve (under 34).

Donne in difficoltà – Le donne che hanno chiesto aiuto da maggio a settembre, subito dopo il lockdown, sono state il 54,4% contro il 50,5% del 2019. Il numero dei giovani tra 18 e 34 anni è passato dal 20% al 22,7%, gli italiani sono oggi il 52% dei poveri, contro il 47,9% del 2019, hanno dunque superato gli stranieri. Il numero di famiglie impoverite con parenti a carico, poi, genitori anziani, infermi è passata dal 52,3% del 2019 al 58,3% di questi ultimi mesi. Tra i motivi principali di crollo del reddito, la perdita del lavoro.

Aiutati oltre duemila lavoratori autonomi – Quasi l’80% dei lavoratori indipendenti che si sono rivolti ai centri di ascolto della Caritas durante il lockdown ha subito un calo nel reddito e per il 36% la caduta è di oltre la metà del reddito familiare. Nel dettaglio, in 136 diocesi italiane sono stati perciò attivati fondi dedicati ai lavoratori per sostenere le spese più urgenti (affitto, rate del mutuo, utenze, acquisti utili alla ripartenza dell’attività). In totale sono stati 2.073 i piccoli commercianti e lavoratori autonomi accompagnati in questo periodo. In estate, con la riapertura dei centri di ascolto “in presenza” il 54% delle Caritas diocesane ha registrato segnali di miglioramento rispetto alla primavera, con un calo del numero degli assistiti: la media per diocesi scende dal 2.990 persone (del periodo marzo-maggio) a circa 1.200. In linea con il dato generale cala anche il numero medio dei nuovi ascolti, che scendono da 868 a 305 per diocesi. Anche se da maggio a settembre sono aumentate del 12,7% le persone seguite rispetto allo scorso anno. Per il 54% delle Caritas diocesane le richieste di aiuto registrate in estate sono ancora riconducibili all’emergenza Covid-19.

Reddito di cittadinanza e Rem hanno raggiunto solo chi già godeva di protezione – Il rapporto spiega che quello che il Covid-19 ha messo in evidenza è “il carattere mutevole della povertà” che porta il Paese a “entrare in una nuova fase nel nostro Paese“. Per la Caritas il Reddito di cittadinanza protegge chi è incluso “ma gli esclusi vedranno peggiorare la loro situazione in una situazione in cui le possibilità di ripresa economica hanno prospettive lunghe”. E il Reddito di emergenza, che avrebbe dovuto aiutare chi non aveva diritto a nessun altro sussidio, stando all’analisi Caritas è andato alla stessa platea di beneficiari: prevalentemente nuclei composti da adulti over 50, soprattutto single e monogenitori con figli maggiorenni, con un reddito fino a 800 euro e bassi tassi di attività lavorativa. Si tratta di “un profilo del tutto sovrapponibile a quello di coloro che percepiscono il Reddito di cittadinanza”. Questo dice che “tra le due misure, rispetto alle caratteristiche dei beneficiari, vi sia sovrapposizione piuttosto che compensazione“. Inoltre il fatto che coloro che hanno ricevuto dalle Caritas servizi di orientamento abbiano fatto domanda per il REM tre volte di più rispetto a chi non ha ricevuto quel supporto dimostra che lo strumento non è di facile accesso. Tanto più che aver ricevuto orientamento risulta aver “accresciuto di un sesto la possibilità di ottenerlo effettivamente.

“L’effetto perverso scaturito dalla scarsa chiarezza delle misure e dalla farraginosità delle procedure amministrative è di aver generato una frattura fra gli “insider”, coloro che già godevano di forme di protezione e assistenza pubblica, socializzati rispetto alle procedure e in grado di gestire le difficoltà, e coloro che, invece, non avevano mai avuto prima di allora accesso al sistema”, sottolinea il rapporto. “Sotto questo profilo il caso del REM è esemplificativo: coloro che, avendo già fatto richiesta di prestazioni sociali di vario tipo, erano dotati di Isee sono risultati avvantaggiati nella compilazione della domanda per il REM rispetto a coloro che invece, in quanto ”fuori dal sistema assistenziale”, ne erano sprovvisti”. La Caritas di Milano ha rilevato che “le persone più vulnerabili (cassa integrazione poco consistente, lavoratori irregolari, con contratti di poche ore, detenuti, stranieri con problemi di residenza,) non hanno richiesto le misure istituzionali. In molti casi si sono avvalsi dell’aiuto della Caritas”. Il “paradosso di misure emergenziali che generano esclusione e che favoriscono coloro che già sono “affiliati” al sistema di protezione e assistenza sociale – invece di avvolgere, come dovrebbero, nella maniera più ampia e inclusiva possibile i destinatari del sostegno previsto – genera un travaso di richieste di aiuto, soprattutto in emergenza, su realtà come le Caritas, che non adottano meccanismi di selezione dei beneficiari”.

I rischi per gli autonomi e i minori e le richieste al governo – I lavoratori autonomi saranno più esposti al rischio povertà per la mancanza di lavoro, “considerata l’assenza di un regime di tutela stabile in loro favore”. Ci saranno molte oscillazioni cosiddette “dentro-fuori” per chi è a ridosso della soglia di povertà. I minori subiranno un “doppio colpo”: le difficoltà del presente (minori in famiglie povere e intermittenza dei percorsi di istruzione) e il futuro pregiudicato a causa della “difficoltà di uscire dalla condizione di povertà e l’incertezza di percorsi di istruzione solidi, stabili, duraturi”. Di fronte a questa situazione “inedita” Caritas italiana propone nuovi strumenti di analisi e di intervento. In particolare, chiede di “mettere in relazione i dati sulla povertà (assoluta e relativa) con dati sui percettori delle misure di contrasto; realizzare analisi di lungo periodo per monitorare come cambiano le condizioni di vita delle persone in povertà e se e come su di esse incidano le misure pubbliche ; concepire le misure nazionali di contrasto alla povertà come un ‘work in progress'” ossia periodicamente “aggiustate” per meglio rispondere alle trasformazioni in corso e affrontare l’incertezza.

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