Il 14 ottobre 1980, un corteo di molte migliaia di persone attraversava il centro di Torino dirigendosi verso le sedi del Municipio, della Regione Piemonte e della Prefettura. La “Marcia dei Quarantamila”. La vulgata considera quel giorno come una data fondamentale non solo per la storia dei rapporti tra sindacato e impresa nel nostro paese, ma per la politica italiana, per la Fiat e più in generale per l’economia.

Personalmente ho qualche dubbio. Dubbi che ci fosse “qualcosa di nuovo nel sole” di quella giornata. Dubbi che, nonostante il marciare di quelle migliaia di dipendenti Fiat – subito segnalati come “quarantamila” ma mai effettivamente riscontrati – in quegli attimi si stessero facendo alcuni passi avanti. Nonostante la consapevolezza e il desiderio di cambiare le cose, guidati da Luigi Arisio – un caporeparto Fiat, poi assurto alla fama e al laticlavio senatoriale nella lista della Susanna Agnelli.

In realtà già il 9 ottobre a Rivalta c’era stata una manifestazione analoga, a titolo di prova generale, e il successo era stato molto, molto più modesto, perché quella del 14 ottobre fu in effetti un trionfo, o meglio, un pugno nello stomaco della Flm, un’imprevista, dolorosissima spaccatura tra lavoratori.

La vittoria del partito del rispetto e della non sopraffazione, del movimento spontaneo di quanti volevano solo lavorare, non spaccare, non protestare, soprattutto non impedire agli altri di farlo, con quei maledetti picchetti, così odiosi e – diciamolo – così poco democratici. Così prossimi ai comportamenti di quanti dalle linee di montaggio Fiat erano passati alle bande armate (“dalle armi della critica, alla critica delle armi”) e che qualche preoccupazione avevano causato non solo ai Carabinieri, ma anche al sindacato; proprio mentre quest’ultimo era impegnato in una delle più dure vertenze sindacali dal dopoguerra, mentre erano in ballo decine di migliaia di licenziamenti (molti operati con scientifica selezione da parte della Fiat), giusto quando il Pci si era esposto al massimo livello con la presenza dell’allora segretario Enrico Berlinguer, per opporsi a quella che certamente era vera macelleria sociale, purtroppo ormai divenuta inevitabile per la congiunta disastrosa decennale politica industriale del terzetto governo-Fiat-sindacati.

Una situazione pregressa e contemporanea che oggi fatichiamo perfino a immaginarci. Effetto però del declino industriale della Fiat che, pur tenuta in piedi dal capitale libico, dalle iniezioni di Mediobanca e dalla permanente complicità governativa, fin dall’uscita di Vittorio Valletta aveva preferito la sopravvivenza fisica e qualche soldo per gli azionisti agli investimenti, all’innovazione e alla competizione globale. E all’uopo si era dotata di un management (Cesare Romiti) conseguente, forte con i deboli, debole con i forti. Sicché dopo lo svolgimento del corteo, nelle prime ore del 15 ottobre, i rappresentanti della Fiat e della Flm siglavano infatti il testo di un accordo che poneva fine a 35 giorni di conflitto.

In realtà erano i vertici Fiat che avevano tradito il ceto medio operaio, accettando politiche salariali che cancellavano il merito, appiattivano in basso i salari, e avevano creato all’interno delle fabbriche una conflittualità interna tra i prestatori d’opera della prima ora (piemontesi) e i lavoratori dell’ultima (meridionali). E ora quegli stessi vertici, simulando una protezione, financo alimentando la leggenda di aver promosso la nascita dei Quarantamila, utilizzavano le giuste lamentele di quadri e operai specializzati per portare a termine non un piano di rilancio della Fiat (che avrebbe avuto bisogno del capitale che era già scappato da tempo), ma poco più che un salvataggio a spese di un taglio mai visto del personale.

In definitiva, come credo di aver fatto intuire, nulla di nuovo sotto il sole anche con la Marcia dei Quarantamila. Piuttosto una triste storia di arretratezza e di sottosviluppo industriale, con un’imprenditoria clientelare, un sindacato incapace di comprendere l’evoluzione della storia mondiale e un governo troppo disattento alla cosa pubblica (altresì detta res publica).

Un film muto e in bianconero nell’epoca del digitale. Un residuo preistorico, che durerà fino a Sergio Marchionne e oltre. Sindacato e imprese, due facce della stessa medaglia. Quella di un paese che non vuole capire che senza impegno e sacrifici (di tutti) non c’è sviluppo economico.

Articolo Precedente

Scuola, ecco le modalità di individuazione e tutela dei lavoratori ‘fragili’

next
Articolo Successivo

Uber, le proteste di autisti e rider rivelano il lato oscuro della tecnologia del lavoro

next