Prima di vincere diversi titoli italiani, una medaglia d’argento europea giovanile, una medaglia d’oro ai Giochi del Mediterraneo e collezionare un quarto posto ai mondiali staffette di Yokohama, Giuseppe Leonardi, 23 anni, nato a Catania, ha fatto i conti con un dolore improvviso alla gamba. “Era il 2014 e mi stavo allenando quando mi si bloccò, facendomi letteralmente volare a terra”, ricorda. Non era un dolore muscolare, né un problema legato alla schiena, come ipotizzato da molti medici. Dopo mesi di terapie inefficaci, il trasferimento a Milano. “Qui abbiamo scoperto che si trattava di un tumore, benigno – racconta –. Mi sento fortunato perché grazie all’atletica sono riuscito ad affrontare la malattia in tempo. Lo sport mi ha salvato la vita”.

Oggi Giuseppe è 400metrista della nazionale italiana di atletica leggera. Una passione nata grazie a sua mamma, anche lei ex atleta. “Fin da piccolo ho provato tantissimi sport, dalle arti marziali al calcio”. Giuseppe decide di voler diventare velocista quando, a 14 anni, si ritrova al suo primo campionato nazionale. “Ero spaventatissimo, non avevo aspettative, volevo solo arrivare il più lontano possibile”.

A 16 anni, la svolta. Il dolore dopo l’infortunio in allenamento non passa e Giuseppe comincia a preoccuparsi. Trascorrono mesi con fisioterapisti, osteopati, risonanze, tac: “I miei genitori in quel periodo hanno speso veramente tanto. Facevo tutte le sedute con pazienza ma il problema non si risolveva”, racconta. Così, insieme al suo allenatore, Giuseppe decide di accettare l’invito della Federazione Italiana di Atletica leggera e di farsi curare a Milano. “Abbiamo scoperto che in realtà la schiena non c’entrava niente, anzi, si trattava di una massa bloccata nell’inserzione della fascia ischio-pubica, un tumore benigno”.

La riabilitazione è lunga, ma dopo quasi un anno di stop forzato Giuseppe torna in pista. “Non mi conosceva più nessuno: mi sono presentato alla partenza dei Campionati italiani Juniores con il solo tifo dei miei genitori sugli spalti. Volevo vincere anche per loro”. Dopo un testa a testa fino a pochi metri dalla linea d’arrivo, la vittoria. La dimostrazione che poteva ancora farcela: “In quella gara sono rinato, ho messo tutto alle spalle, da lì mi è cambiata la vita”.

La scelta di diventare atleta professionista comporta sacrifici e rinunce. Al momento Giuseppe non studia: “Ho deciso di dedicare più tempo possibile al mio sport, che richiede impegno dalla mattina fino a tarda sera”, spiega. La giornata tipo? Colazione alle 8, doppio allenamento di 2-3 ore di mattina e di pomeriggio tra riscaldamento, stretching, lavori aerobici e anaerobici. Alle 23 spesso è già a letto. “L’allenamento è pesante, faticoso, e dopo non si hanno molte energie”. Vita sociale? “Il sabato sera quando ho forze dopo gli allenamenti. O la domenica. Chi decide di fare agonismo sa benissimo di cosa parlo: la mia vita è incentrata sul mio sport, è il mio lavoro e devo dare tutto ciò che posso”.

Giuseppe ha spesso pensato di trasferirsi all’estero, non solo per le opportunità che potrebbero aprirsi, “ma anche perché sento costantemente parlare dell’organizzazione efficiente, delle strutture per gli atleti”. È stato contattato da diversi allenatori americani, ma in Italia per ora trova “tutto ciò che basta – assicura – e questo vale più di strutture straordinarie”.

Quando indossa la maglia azzurra della Nazionale Giuseppe sente di rappresentare tutti: i genitori, l’allenatore, il suo Paese. Nel 2018 è riuscito a qualificarsi con la squadra per i Mondiali a Doha. “Siamo arrivati primi – ricorda – ma nessuno ne ha parlato”. Con la medaglia d’oro in quella gara, è arrivato il pass per le Olimpiadi di Tokyo, spostate al 2021 a causa del coronavirus. “La preparazione non si è fermata, un atleta non si può fermare”, continua. Il vero problema, in questo periodo, è stato trovare i campi dove allenarsi. “Ma le motivazioni, quelle, non mancano ai giovani come me”, sorride.

Il sogno olimpico è una cosa che questo ragazzone catanese porta fin da quando era bambino. “Oggi devo tutto allo sport, il mio lavoro, la mia serenità, la mia crescita personale, molto del mio bagaglio culturale”. Se c’è una cosa che cambierebbe in Italia sono le strutture di assistenza: “Al Sud purtroppo c’è molto da fare. Nel 2014 nessuno, qui in Sicilia, riusciva a risolvere il mio problema. Siamo stati costretti ad andare a Milano”. Di una cosa, però, Giuseppe è sicuro: “Spesso la vita ti mette alla prova. A volte lo fa nel modo più bastardo possibile. Ma alle prossime Olimpiadi di Tokyo dimostrerò che, stavolta, ho vinto io”.

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