“Normali schermaglie negoziali“, le ha definite il ministro dell’Economia italiano Roberto Gualtieri. E in effetti improbabile che il braccio di ferro tra il Parlamento europeo e la presidenza tedesca del Consiglio sul bilancio Ue 2021-2027 da 1.074 miliardi e il piano Next Generation Eu da 750 miliardi arrivi davvero al punto di rottura. Lo stop ai negoziati annunciato giovedì dall’Eurocamera punta solo a sollecitare una proposta di compromesso un po’ più ambiziosa da parte dei leader, dopo che quella presentata dalla Germania a nome dei 27 è stata giudicata deludente dai negoziatori. Non a caso l’eurodeputato francese del gruppo S&D, Pierre Larrouturou, relatore per il bilancio, ha fatto sapere che trascorrerà il weekend al lavoro a Bruxelles perché “vogliamo un accordo in tre settimane“. “Non dubito che lo troveranno, rendersi colpevoli di non far arrivare i fondi per la ripresa non conviene a nessuno”, pronostica Carlo Altomonte, docente di Politica economica europea alla Bocconi. “Ma una volta trovato serviranno comunque un voto del Parlamento in plenaria e un voto all’unanimità del Consiglio sulla rule of law. Difficile arrivarci prima di inizio dicembre. Questo significa che i Recovery plan nazionali saranno approvati tra aprile e maggio e i soldi arriveranno non prima di giugno“. Ecco quali sono i nodi su cui le trattative si sono arenate.

I soldi per ricerca, innovazione ed Erasmus – Per raggiungere in extremis un’intesa sui fondi per la ripresa, lo scorso luglio, i leader europei “hanno ridotto il supporto che il Recovery fund, nella proposta della Commissione, avrebbe dovuto fornire ad alcuni programmi comunitari” preesistenti, ricorda Altomonte. Per esempio “è stata azzerata la dotazione del nuovo programma per la sanità” Eu4Health e “ne ha fatto le spese anche il Just Transition Fund“, oltre al Fondo agricolo per lo sviluppo rurale. “Sparito, poi, il fondo per la ricapitalizzazione delle imprese”. Non solo: la proposta di bilancio pluriennale 2021-2027 riduce i fondi per la ricerca e innovazione (programma Horizon) e per il programma Erasmus. “Se vogliamo scommettere sulle nuove generazioni non possiamo tagliare quelle risorse”, aveva commentato il presidente del Parlamento europeo David Sassoli. Ora l’Eurocamera chiede un aumento della dotazione per 15 capitoli di spesa. “Il punto è che il Parlamento vuol farsi sentire sul bilancio perché non ha voce in capitolo sul Recovery. Ma, ricorda Altomonte, parliamo di una distanza di circa 20 miliardi su 2mila complessivi” tra bilancio e Next Generation. Un alto funzionario Ue ha fatto sapere che l’offerta del Consiglio è compresa tra 5 e 9 miliardi. Il pronostico è che “chiuderanno a metà”.

La prova di forza sulle nuove risorse proprie per ripagare il debito – “Il Parlamento forse sta anche cercando di conquistare potere nella decisione sulle risorse proprie, per ora nelle mani degli Stati visto che la proposta della Commissione non prevede esplicitamente un suo coinvolgimento nel negoziato”, aggiunge Giulia Rossolilllo, professore di Diritto dell’Unione europea a Pavia. Le risorse proprie sono entrate fiscali “indipendenti” dai contributi al bilancio europeo versati dai singoli Paesi: un esempio è la quota di Iva che viene trasferita a Bruxelles. La Commissione, che per finanziare il Recovery fund emetterà titoli in modo da raccogliere sul mercato i 750 miliardi necessari, ha proposto di allargare il set delle risorse proprie introducendo una tassa Ue sulla plastica, una web tax armonizzata e una carbon tax “alla frontiera” che colpirebbe le importazioni da zone con legislazione ambientale più soft di quella europea. Questo consentirebbe che l’emissione di debito comune non gravi troppo sulle generazioni future, e quindi secondo l’Eurocamera è una priorità. In più, ipotizza Rossolillo, potrebbe essere in atto un braccio di ferro per cui la decisione sul Mff viene ritardata con l’obiettivo di aver voce in capitolo sulle nuove risorse proprie. Secondo Sassoli occorre introdurne almeno due già l’anno prossimo. “Frugali” e blocco di Visegrad prendono tempo.

Il rispetto dello stato di diritto – Per non rinviare ulteriormente l’intesa tra i leader, a luglio è stato accantonato il problema della cosiddetta condizionalità dello Stato di diritto. Cioè la possibilità di bloccare l’esborso delle risorse ai Paesi, come Ungheria e Polonia, ritenuti colpevoli di violazioni di principi fondamentali come la separazione dei poteri e la libertà di espressione e di informazione. Se fosse stato inserito quel paletto, il blocco di Visegrad di cui fanno parte anche Repubblica ceca e Slovacchia avrebbe fatto valere il potere di veto, bloccando tutto. I “frugali” insistevano perché la tagliola scattasse senza appello. Risultato: la questione è stata rimandata. Ma il Parlamento ha subito avvertito che non avrebbe accettato compromessi al ribasso. E ora insiste per una condizionalità più forte rispetto a quella prevista nella proposta di compromesso tedesca approvata a maggioranza dagli ambasciatori dei 27 (contrari Polonia e Ungheria e, per motivi opposti, Olanda, Finlandia, Danimarca, Austria, Belgio e Lussemburgo). “Ma dubito che su questo punto gli europarlamentari faranno le barricate“, commenta Altomonte. “Orban in fondo è nel Ppe. E lo stesso Orban, come gli altri di Visegrad, ha interesse ad arrivare a un compromesso visto che in caso contrario non arriveranno i fondi agricoli cari al loro elettorato”.

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