“Siamo al fianco delle piccole imprese in un momento di difficoltà.” Recitano più o meno così gli spot pubblicitari delle banche nostrane negli ultimi tempi. Andatelo a chiedere direttamente ai circa 4 milioni di imprenditori che non hanno ricevuto un euro previsto dal decreto Liquidità per effetto del tipico e irritante ostruzionismo bancario.

A tal proposito mi chiedo: ma chi scrive il copy (il testo) delle sceneggiature degli spot che spesso utilizzano, come testimonial, personaggi del mondo dello sport e dello spettacolo che ci rimettono la faccia? Questi guru del marketing bancario sono davvero convinti di recuperare la fiducia dei potenziali clienti con messaggi del genere? Quei messaggi sono l’anticristo rispetto ad una delle leggi fondamentali del marketing: la “legge della sincerità“, che si basa sul postulato che “se ammettete un limite, una inefficienza, una verità, il cliente potenziale poi vi riconoscerà una eventuale qualità positiva.”

E’ vero, ammettere un problema va contro la natura umana. Per anni ci hanno inculcato il potere del pensiero positivo. Innumerevoli libri e articoli hanno trattato proprio questo argomento. Il pensiero positivo è stato molto sopravvalutato. Ma la crescita esplosiva delle comunicazioni nella società ha portato le persone a essere più caute e sulla difensiva con le aziende che cercano di vendergli di tutto. Quindi, care banche, forse vi sorprenderà sapere che uno dei modi più efficaci per entrare nella testa del cliente potenziale è prima ammettere un fatto negativo e poi trasformarlo in qualcosa di positivo.

Pensate ad uno spot di una banca che si basi su una sceneggiatura con un copy (testo) del genere: “le abbiamo combinate di tutti i colori ma ora abbiamo capito che l’unica strada percorribile per recuperare la vostra fiducia è dirvi la verità.” Cosa succede in questo caso? Perché un’iniezione di onestà dovrebbe funzionare così bene nel processo di marketing?

Prima di tutto la sincerità è disarmante. Qualsiasi dichiarazione negativa facciate su voi stessi viene accettata all’istante come verità. Non occorrono prove. Le dichiarazioni positive, invece, sono considerate dubbie nel migliore dei casi. Dovete faticare per dimostrarne la verità. Soprattutto in un annuncio pubblicitario.

La maggior parte delle banche non dichiarerebbe mai i propri insuccessi e le proprie malefatte. Eppure se avete un brutta reputazione, le possibilità sono due: o dovete abbassare le saracinesche delle filiali o dovete stare in silenzio in attesa di tempi migliori. L’unica cosa che non potete fare è fingere di non avere scheletri nell’armadio. Vi mette in ridicolo.

Sembra una scelta ovvia? Certo, il marketing è spesso una ricerca dell’ovvio. Poiché non è possibile cambiare la testa di una persona una volta che si è fatta un’idea, cari guru del marketing bancario, i vostri sforzi dovrebbero essere indirizzati all’utilizzo di idee e concetti già installati nel cervello dei consumatori.

Dovete usare i vostri messaggi per “mettere il dito nella piaga.” Ammettere l’esistenza di un problema è qualcosa che pochissime aziende fanno. E men che meno le banche. Quando un azienda comincia il suo messaggio ammettendo un problema, tendenzialmente, e quasi per istinto, la gente apre la mente.

Pensate alle volte che qualcuno si è rivolto a voi per un problema e alla rapidità con cui vi siete lasciati coinvolgere desiderosi di aiutare. Ora pensate a chi inizia una conversazione parlando delle cose meravigliose che sta facendo. Probabilmente in un caso simile il vostro interesse è stato molto minore.

Solo una volta aperta la mente, siete poi in condizione di inserirvi l’elemento positivo, cioè la vostra idea di vendita. Un’ultima osservazione: l’obiettivo della sincerità è chiedere scusa. Iniziare a scusarsi potrebbe essere il primo segnale verso quel cambiamento che incontra forti resistenze e che dovrebbe mettere una certa distanza fra il “vecchio sé” e un “nuovo sé” che non si comporterà più alla stessa maniera.

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