Questa strana stagione tennistica sta “regalando” agli appassionati un Roland Garros autunnale. Un regalo gradito a molti; meno, forse, alla ex tennista svizzera Martina Hingis, 40 anni oggi, che di Parigi ha un ricordo meno dolce degli altri tornei Slam.

Martina Hingis ha smesso di giocare a fine 2017, praticamente l’altro ieri; ma per raccontare le gesta della campionessa svizzera bisogna saltare due generazioni di tenniste e partire dall’inizio. Già il nome di battesimo fu un segno del destino: la madre Melanie, tennista cecoslovacca, le diede quello della grandissima connazionale Navratilova. A due anni calcava già i campi da tennis con papà e mamma, a quattro il primo torneo. A sei si trasferisce in Svizzera, quella che diventerà la sua patria.

Il 1997 fu il suo anno: il Grande Slam solo sfiorato, sconfitta in finale della croata Ivana Majoli che le soffiò il Roland Garros. Un harakiri psicofisico con la complicità di una sciagurata caduta da cavallo procuratasi perché all’equitazione non sapeva rinunciare. L’Open di Francia fu l’unico torneo Slam che non riuscirà ad aggiudicarsi mai: la seconda finale persa con Steffi Graf, già una stella cadente nel 1999, mise a nudo un carattere non proprio solido di una ragazza non ancora 20enne costretta a essere la numero uno al mondo.

Aveva 17 anni e le avversarie erano le campionesse tritatutto di fine anni ’80, Graf, Jennifer Capriati, Monica Seles ad esempio, ma stava per emergere la generazione delle picchiatrici, Lindsay Davenport e le sorelle Williams su tutte. Martina Hingis era legata a un gioco fatto di traiettorie, precisione (svizzera) e classe. Il tutto condito da una certa grazia, da non confondere con la fragilità. Martina Hingis vinceva anche contro i muscoli delle altre e piaceva, ai pubblicitari, ai media che vedevano in lei il racconto perfetto da cavalcare per anni. La più giovane numero uno al mondo nonché più giovane campionessa di Wimbledon dopo Lottie Dod nel 1887.

Le aspettative fecero andare in tilt questo computer svizzero che non replicò più stagioni esaltanti, anzi, la crisi tecnica e l’assenza di vittorie la portarono al ritiro, il primo, nel 2003. Una seconda vita tennistica in doppio (anche nel misto) le hanno fatto toccare quota 25 titoli Slam e restituito una dimensione più consona al suo talento (ha vinto anche a Parigi).

Esplosa prima dei connazionali Roger Federer e Stan Wawrinka, per parole dello stesso Federer pare abbia colpito, forse ispirato il campione svizzero, quasi coetaneo di Martina ma ancora acerbo fino ai primi anni 2000.

Il modo migliore per fare gli auguri a una campionessa è ricordare le sue imprese in campo, quando la vita in campo si allontana resta l’affetto e il ricordo dei suoi tempi, che erano e sono pure i miei. Condividendo lo stesso sentire (e quasi la stessa età), ed escludendo per lei l’ennesimo rientro in campo, posso solo ricordarle che qualcuno mormora che la vita comincia a quarant’anni.

Life Begins At 40 è una canzone scritta da John Lennon e donata all’amico Ringo Starr alla soglia dei 40 anni, siamo nel 1980, poco prima del suo assassinio: “Dicono che la vita comincia a 40 anni, che l’età è solo uno stato mentale, e se la vita comincia a 40 anni, beh, spero non sia la stessa…”. Non lo è mai per nessuno, ma spesso è più consapevole e serena del pezzo precedente.

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