Una banca dati, condivisa tra forze dell’ordine e Asl, permetterà di sequestrare subito ai pazienti con disturbi mentali le armi da fuoco senza attendere il rinnovo del porto d’armi, fissato ogni 6 anni. “Si tratta di un passo molto importante per passare dalle parole ai fatti nella prevenzione delle tragedie della follia”, ha annunciato il senatore Gianluca Ferrara (M5s), primo firmatario dell’ordine del giorno al decreto Semplificazioni che impegnerà il Governo a rendere operativa la banca dati con un apposito decreto attuativo. Una mancanza di comunicazione veloce tra uffici competenti, infatti, è il filo rosso che unisce tante, troppe stragi annunciate, da almeno trent’anni. Era il 1992 quando Alessandra Brizzi, ventiseienne, uccise a sangue freddo i genitori, nella casa a due passi dal centro di Firenze: quindici colpi scaricati al termine di una lite, mentre fuggivano in corridoio. Le due pistole usate erano legalmente detenute, nonostante Alessandra in passato fosse ricorsa a ricoveri e psicofarmaci.

I “tratti schizoidi” lo avevano fatto riformare alla leva, eppure aveva il porto d’armi il 31enne Andrea Calderini, l’uomo che seminò il terrore in via Carcano a Milano. Nel 2003, con lucida freddezza, uccise la moglie 22enne in casa, la vicina incontrata sulle scale, e poi iniziò a sparare sui passanti affacciato dal balcone. Ferì una donna, da allora paralizzata, e un uomo oggi quasi cieco. Nove ore d’assedio, poi l’irruzione dei Nocs e il suicidio del killer.

Stesso epilogo, stessa trama e stesso anno con la strage di Aci Castello,in provincia di Catania. Giuseppe Leotta aveva l’autorizzazione per il tiro a segno sportivo, nonostante il parere contrario dei carabinieri motivato dal fatto che, in passato, l’uomo aveva minacciato più di un familiare con un’ascia. In totale ha ucciso sette persone. Le storie si ripetono, uguali, mese dopo mese, anno dopo anno. Dall’inizio dell’estate ad ora, sono almeno 6 le stragi compiute in Italia con armi legalmente detenute secondo Opal, l’Osservatorio Permanente sulle armi leggere e politiche di sicurezza e difesa. Armi a volte detenute da persone già note alle autorità, per violenza verso altri o verso se stessi.

Ne sa qualcosa Gabriella Neri, viareggina, madre di due figlie e vedova di Luca Ceragioli, il titolare della Gifas Electric di Massarosa, in provincia di Lucca, che nel 2010 fu freddato, insieme a un collega, da Paolo Iacconi. L’uomo era un ex dipendente legalmente armato, nonostante un passato costellato di Tso e tentativi di suicidio, gesto che attuò dopo lo strage. Per Gabriella Neri, la banca dati a lungo annunciata e rimasta per oltre un anno nei cassetti del Parlamento “costituirà un formidabile strumento di prevenzione rispetto agli episodi delittuosi che le nostre cronache oramai riportano quasi giornalmente”.

Articolo Precedente

Si candida sindaco in Basilicata senza mai esserci stato, viene eletto ma si dimette dopo 24 ore: commissariato il comune di Carbone

next
Articolo Successivo

Alta Valtellina, la prima neve a Livigno: le immagini degli alberi e delle strade imbiancate

next