Le restrizioni sui treni dell’alta velocità decise dal comitato tecnico scientifico (Cts), ovvero l’obbligo del 50% di riempimento dei posti a sedere, stanno mettendo a dura prova i conti di Italo, il concorrente privato della Frecciarossa controllata dal Gruppo Fs.

A tutt’oggi le regole per i mezzi di trasporto sono le seguenti: arerei al 100% di capienza, trasporto pubblico locale – autobus, metro, tram e treni regionali – all’80% con possibilità del 100% se il viaggio dura meno di 15 minuti. Solo l’Av, che ha un numero di viaggiatori nettamente inferiore rispetto alle altre tipologie di treni (pendolari) e copre una quota inferiore al 10% del totale del trasporto ferroviario, è rimasta al 50% di carico.

Il rischio di trasmissione del Covid-19 è evidente durante un viaggio in treno, in aereo o in autobus e non possiamo dimenticare che la virologa Ilaria Capua ci aveva ammonito affermando: “In Lombardia i treni vecchi e sporchi hanno contribuito a diffondere il Coronavirus”. Non è il caso dei treni di Italo (Alstom) e della Frecciarossa (Etr 500), nuovi, ben tenuti e molto più facilmente sanificabili e controllabili rispetto ai treni pendolari. I finestrini sono sì chiusi ermeticamente, ma l’aria condizionata deve essere funzionante e se su una vettura non funziona i passeggeri restano a terra.

Intanto va spiegato perché solo Italo protesta per questa inspiegabile restrizione del 50%, quando sarebbe più logico ed equo adottare l’80% per tutti. Per i Frecciarossa il problema non esiste perché alla fine le perdite vengono sostenute attingendo al “calderone” dei finanziamenti pubblici trasferiti al gruppo Fs per la gestione dei treni pendolari.

I conti del Frecciarossa (e di tutti i treni a lunga distanza) sono da tempo (esattamente dal 2016) in flessione. Se è dato, purtroppo, per scontato, che i costi delle Frecce li pagano i contribuenti (attraverso il Tesoro) e solo in minima parte i passeggeri, non è così per Italo che si deve sostenere con le sue forze sulla base dei ricavi tariffari. Il rischio è quello di veder fallire un’azienda apprezzata e protagonista del rilancio dei trasporti su ferro e che ha dato vita ad un modello concorrenziale preso da esempio in tutta Europa.

Sempre i contribuenti italiani hanno pure pagato a costi tripli rispetto a Spagna e Francia la costruzione delle linee ad alta velocità, che meno si utilizzano più tardi si ammortizzano. Un “fumus persecutionis” nei confronti di Italo si intravede quindi nella decisione del Comitato Tecnico scientifico di mantenere il riempimento dei treni al 50%, che andrebbe modificata e portata al 100%.

Ovviamente, con qualche prescrizione in più: rendere obbligatoria in partenza e in arrivo la misurazione della temperatura; incrementare la sostituzione dei filtri dell’aria condizionata; usare il biglietto nominativo per rintracciare eventuali contatti a rischio; pulire i tavolini e delle toilette anche durante il viaggio. Va poi ricordato che il rischio di assembramento che c’è (ed è spesso denunciato dai pendolari) sui treni regionali e sulle metropolitane, sui treni ad alta velocità non esiste.

Il Cts dovrebbe pertanto sbrigarsi a rivedere la sua prescrizione. Non vanno però sottovalutate le prospettive nere del settore dell’alta velocità. Il traffico business è infatti crollato e il futuro è molto complesso: sia le Frecce di Trenitalia che Italo sono entrambe minacciate nel loro modello di business. Pensare ad alternative sull’uso della rete dell’alta velocità diventa gioco forza. Per questo sembrano esagerati e irrealistici i nuovi piani di infrastrutturazione ferroviaria con linee ad alta velocità.

Scippo di Stato

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