Sono ancora bloccati in Libia i 18 membri dell’equipaggio dei due pescherecci di Mazara del Vallo sequestrati la sera del primo settembre dai militari del generale Khalifa Haftar. La vicenda viene monitorata dalla Farnesina che dalla sera dell’agguato sta trattando il rilascio dei motopesca Antartide e Medinea oltre che dei pescatori tuttora trattenuti a Bengasi. Nonostante le costanti rassicurazioni, da giorni i familiari non riescono a stabilire un contatto con i marittimi che dopo essere stati interrogati sono stati trasferiti in una struttura da cui non possono uscire liberamente.

I giorni dopo il sequestro un’associazione di Mazara del Vallo ha diffuso anche delle foto scattate in Libia. Madri, mogli, fratelli e sorelle dei 18 pescatori hanno iniziato a mettere in circolo informazioni, incontrandosi nel magazzino dell’armatore di uno dei due pescherecci sequestrati. “Mi sento malissimo perché 24 anni fa ho perso un altro figlio in mare e non voglio perdere anche questo – dice al Fatto.it la signora Rosetta Ingargiola, madre del comandante del motopesca Medinea – abbiamo bisogno di sentire la loro voce, fate qualche cosa, portateli subito a casa”. Tra i pescatori trattenuti dalla sera del primo settembre, oltre ai membri degli equipaggi dei due motopesca, anche il comandante del peschereccio ‘Anna Madre’ di Mazara del Vallo e il primo ufficiale del ‘Natalino’ di Pozzallo, che la sera dell’accerchiamento erano riusciti ad invertire la rotta.

Agli armatori viene contestata la presenza dei loro pescherecci all’interno delle 72 miglia (sessanta in più delle tradizionali 12 miglia), che la Libia dal 2005 rivendica unilateralmente come acque nazionali, in virtù della convenzione di Montego Bay che dà facoltà di estendere la propria competenza fino a 200 miglia. In questi giorni in molti sono intervenuti per chiedere il rilascio dei pescatori e dei motopesca sequestrati, tra cui la sezione regionale di Agripesca che ha minacciato di “bloccare l’intera flotta peschereccia”, che a Mazara del Vallo è composta da un centinaio di imbarcazioni d’altura. Anche i familiari dei marinai si dicono pronti a “partire per Roma assieme ad un bel gruppo di pescatori, perché non ci si può dimenticare di cittadini italiani che si trovano bloccati in un paese in guerra”.

La diplomazia italiana in effetti sta lavorando in un contesto geopolitico frastagliato e in molti hanno evidenziato la curiosa circostanza di un sequestro eseguito a poche ore di distanza dal viaggio del Ministro degli Esteri, Luigi Di Maio a Tripoli, per far visita al premier libico riconosciuto dall’Onu, Fayez al-Serraj e al presidente della camera dei rappresentanti di Tobruk, Aguila Saleh.

Il sequestro invece è stato operato dai militari di Haftar, a cui si rivolge la figlia di uno dei motoristi del Medinea per chiedere la “liberazione tutte le barche e i pescatori, non volevano rubare, sono entrati soltanto per lavorare”. In molti hanno letto il sequestro come una ritorsione, alimentata da un’insolita richiesta avanzata dai militari del generale Haftar: uno ‘scambio di prigionieri’ per liberare i 18 pescatori. La proposta riguarda quattro libici detenuti in Italia, condannati a 30 anni di carcere dalla corte d’Appello del Tribunale di Catania, con l’accusa di essere scafisti e carcerieri della cosiddetta ‘Strage di Ferragosto’ che nel 2015 portò alla morte di 49 migranti che viaggiavano a bordo di uno dei tanti barconi partiti dalle coste libiche. Su questa ipotesi non c’è alcuna conferma da parte della Farnesina, ma in questi giorni i familiari dei quattro (conosciuti per i loro trascorsi nel mondo del calcio ndr) hanno manifestato a Bengasi per chiedere la loro estradizione.

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