Cinema

Mostra del Cinema di Venezia 2020, ecco Padrenostro con Pierfrancesco Favino. Un film che spiazza le più banali attese

L'attore: "Noi cinquantenni di oggi siamo quella generazione che è stata come circondata da quegli eventi politici, che quella realtà l’ha subita. Siamo stati messi in un angolo, ci è stato impedito di alzare una mano. E raramente si mette l’accento su quei bambini lì, che venivano messi a letto e dopo era come se non esistessero più quando invece ci alzavamo e sbirciavamo dietro l’angolo cosa facevano i nostri genitori in salotto con gli amici”

di Davide Turrini

Anni di piombo, ma anche no. Padrenostro (tutto attaccato), primo film italiano in Concorso a Venezia 77, è il titolo storico/drammatico che spiazza le più banali attese. Pur mettendo al centro della drammaturgia un attentato terroristico – quello subito nel dicembre del 1976 a Roma dal vicequestore Alfonso Noce, padre del regista Claudio – poi svicola abilmente dall’oramai frusto scontro ideologico vittime vs. colpevoli per un terreno più intimo e simbolico. Più che Buongiorno, notte, insomma, è un Buongiorno papà (che non ci sei mai).

Questione di generazioni. Lo ha già affermato più volte Pierfrancesco Favino – che il progetto Padrenostro l’ha fatto nascere producendolo e interpretando appunto il vicequestore Noce: chi è nato sul finire dei sessanta o ad inizio settanta quella roba lì, tutta passamontagna, mitragliette, assalti in strada, gambizzati, morti, stelle a cinque punte e nuclei proletari armati, non l’ha percepita politicamente. Inutile infilare un solido sferico in una forma quadrata. Ecco allora il mistero del rapporto tra padri e figli. Mistero che nasce dentro le camerette con alle pareti la carta da parati vintage, i mobili laccati in salotto, Tex tra le mani, l’omino della Lagostina e la brava MariaRosa del lievito Bertolini alla tv. Il papà lassù, alto alto, “tra le nuvole”, mentre si fa la barba, quando ti promette che domenica andrai allo stadio con lui, quando ti prende in braccio dopo che ti sei addormentato in automobile. Ma anche il papà assente, che non torna mai a casa, che non ha un minuto per te, che sembra sempre distratto da qualcos’altro più importante.

Dopo una introduzione ai giorni nostri, Padrenostro inizia con un’oggettiva dall’alto (marchio di fabbrica stilistico di Noce che ricordiamo dall’esordio Good Morning Aman) durante la visita medica, dentro la scuola cattolica, dove viene introdotto il giovane protagonista Valerio (il piccolo Mattia Garaci). La macchina da presa si sdoppia tra una soggettiva del bimbo che esplora di continuo il suo appartamento e un’inquadratura che scavalca di campo e lo pedina, lo segue come un’ombra, mostrandocelo quando porta da mangiare al suo amico immaginario, e soprattutto nell’attesa dello sguardo del padre (Favino), alla ricerca di quel contatto salvifico e nutritivo, di tenerezza e di inclusione. In pratica per venti trenta minuti rimaniamo dentro un appartamento.

Lavoro raffinato e preciso di set d’epoca, fotografia evocativa e immersiva, primo tentativo di sigillare una sicurezza familiare che però subito viene incrinata dall’attentato. Assalto armato che subisce il padre (morirà un agente della scorta e Alfonso rimarrà ferito) ma che non vediamo direttamente e che riviviamo attraverso la corsa di Valerio e di mamma Gina (occhio a Barbara Ronchi) in un rapido Rashomon dai punti di vista alternati. Scelta visiva importante, scarto di scrittura che permette di affrontare la tensione di una rischiosa degenza ospedaliera di Alfonso, il suo presunto distensivo ritorno a casa e al lavoro, e infine l’inizio e il protrarsi di una sensazione di terrore e vulnerabilità per tutti i familiari. Paura che vive in primo luogo Valerio che trova poi conforto nell’apparizione basculante tra realtà e sogno di Christian (Francesco Gheghi), un ragazzetto più grande di lui che compare e scompare di continuo, iniziando a giocare a pallone con lui. La soluzione di un viaggio con tutta la famiglia in Calabria, dai parenti di Alfonso, permette di bucare l’asfissia della tensione, e dà anche il via all’improvvisa ricostruzione dell’attentato che Noce mette in scena in modo superbo partendo dal sonoro diegetico/extradiegetico (Buonanotte Fiorellino di De Gregori) che sbuca da una radio del presente fino a commentare l’evento sanguinoso del passato, tornando su quella strada tra pallottole e sangue nemmeno fosse Michael Mann.

Da qui in avanti Padrenostro vive più o meno volontariamente di un dualismo spaziale e psicologico, tra reale e finzionale, una duplicità che finisce per diventare innesto, tanto che Christian sembra come palesarsi in Calabria agli occhi di tutti i familiari e non solo di Valerio, fino ad un sorprendente finale che non sveliamo per amor di non spoiler. Innesto che però fatica un pochino a prendere quota e spessore. Tanto era tesa, compassata, coinvolgente la prima parte romana, quanto la seconda calabra è più macchinosa, appesa alla forzatura dell’estensione larga del principio della sospensione dell’incredulità, in certi punti sovrapponibile a qualche frammento di Io non ho paura di Salvatores. Lo stile e la tecnica però a Noce non mancano. La produzione mostra una certa ricchezza di mezzi. Gli attori si immergono con contrizione ed eleganza in quegli splendidi ma anche traditori settanta (Favino con le basette imbiancate va di pilota automatico; Garaci è notevole tra il Tadzio di Morte a Venezia e il Bryan di Barry Lyndon). E Padrenostro mostra comunque una fascinosa e tragica eterogenesi dei fini a suo modo magnetica e invitante. Insomma, anche se non sconvolge, il film di Noce di certo non stecca. Colonna sonora di Stefano Ratchev e Mattia Carratello, con un po’ di PFM e Drupi tanto per stare cronologicamente a tema. “Il messaggio politico di questo film è raccontare l’infanzia in quegli anni”, spiega Favino in conferenza stampa a Venezia. “Quando Claudio mi ha spiegato il progetto davanti a un caffè ho subito accettato di aiutarlo perché ho riconosciuto nel suo soggetto un odore, un sapore, dei silenzi che ho vissuto anch’io da bimbo con mio padre. Noi cinquantenni di oggi siamo quella generazione che è stata come circondata da quegli eventi politici, che quella realtà l’ha subita. Siamo stati messi in un angolo, ci è stato impedito di alzare una mano. E raramente si mette l’accento su quei bambini lì, che venivano messi a letto e dopo era come se non esistessero più quando invece ci alzavamo e sbirciavamo dietro l’angolo cosa facevano i nostri genitori in salotto con gli amici”. Padrenostro sarà il 24 settembre 2020 nelle sale italiane.

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