Spesso quello che “fa notizia” in termini di visibilità su media sono i contrasti tra i diversi gruppi parlamentari, le divisioni all’interno della stessa forza politica e gli atteggiamenti “sopra le righe”. Però, è proprio quando rispettando tutti i punti di vista le sensibilità si lavora tutti assieme senza grandi clamori che si fa davvero il bene dei cittadini.

Oggi vorrei raccontare la storia del documento conclusivo di 87 pagine riguardo l’indagine conoscitiva sulle tecnologie di telecomunicazione di quinta generazione (da qui il nome “5G”), che dopo oltre 50 audizioni di esperti e due anni di lavoro, è stato approvato il mese scorso all’unanimità da tutte le forze politiche e presentato in una conferenza stampa congiunta.

Sicuramente il tema “tecnologia 5G” è molto complesso e solleva tante domande lecite, a partire da quelle riguardo al bene più prezioso, la nostra salute. Tuttavia, grazie all’ascolto di tanti auditi (diversi anche dichiaratamente contrari all’introduzione di questa innovazione), il Parlamento italiano, pur nella grande diversità dei gruppi politici che lo costituiscono, ha saputo trovare una visione comune.

In estrema sintesi: non c’è nulla da temere per la salute riguardo all’introduzione della tecnologia 5G perché in termini di quantità e tipo di emissioni non è nulla di sostanzialmente diverso dalle tecnologie 4G, 3G, 2G che utilizziamo da anni senza che siano emersi motivi di reale preoccupazione, in linea con quanto risulta dai rapporti dell’Istituto superiore di sanità dell’Oms e dell’Icnirp, una commissione europea che si occupa di protezione da radiazioni non ionizzanti e che ha recentemente aggiornato le proprie linee guida in vista dello sviluppo di questa nuova tecnologia. Dell’assenza di correlazione tra radiofrequenze e malattie tumorali avevamo già parlato.

L’indagine non ha riguardato solo la salute ma ha anche affrontato anche i problemi di privacy e sicurezza delle nuove reti. Fermo restando, ovviamente, che gli studi su possibili effetti nocivi debbano continuare e che non è stato raccomandato il superamento della soglia di intensità di campo elettrico in Italia, che ricordiamo è di 6 Volt/metro e di dieci volte più bassa di quella della maggior parte degli altri paesi europei.

Durante gli ultimi mesi, forse anche a causa di frottole spaventose che correlavano la tecnologia 5G alla diffusione del coronavirus, ci sono stati purtroppo circa 500 sindaci in Italia che hanno emesso atti (mozioni o ordinanze) volti a limitare la diffusione della tecnologia 5G sui loro territori. In realtà, questi provvedimenti hanno effetti quasi tutti nulli, perché di fatto viziati da un abuso di potere.

Il sindaco è la massima autorità sanitaria locale in presenza però di un’emergenza sanitaria, che ben difficilmente può essere quella dell’introduzione di una tecnologia che come chiarito da più fonti, su tutte l’Istituto superiore di sanità, non è nulla di sostanzialmente nuovo. Le competenze del sindaco possono essere ad esempio quelle di rimuovere un traliccio abusivo, ma non certo di aumentare o diminuire i limiti delle esposizioni elettromagnetiche, perché queste sono definite a livello dello stato centrale.

Quello che è emerso nella conferenza stampa di presentazione dell’indagine è che l’atteggiamento migliore verso i sindaci sia quello di “accompagnare” e non “scavalcare”, ed è quello che è stato l’approccio dell’Anci, l’associazione nazionale comuni italiani, che ha messo a disposizione esperti che possano rispondere a dubbi e domande degli amministratori locali.

Alcune persone sono preoccupate dall’installazione di antenne (più correttamente: stazioni radio base) che possono essere anche visibilmente impattanti. Eppure, la principale fonte di esposizione alle onde elettromagnetiche di radiofrequenza è proprio il piccolo cellulare dal quale probabilmente molti mi stanno leggendo, non le grandi antenne che vediamo sui palazzi.

Più il cellulare (che possiamo considerare un’antenna) è lontano, più le sue emissioni devono aumentare per garantire la connessione, cioè più deve “strillare” per contattare la stazione radio base. Quindi, maggiore è il numero di antenne e minore è l’esposizione della popolazione alle radiofrequenze. Questa è una delle conclusioni tutt’altro che intuitiva emersa dall’indagine.

I rischi più grandi che sono emersi sono quelli dell’esclusione dell’Italia dalle nuove tecnologie, piuttosto che le problematiche di tipo sanitario. I benefici della rete 5G possono essere molteplici e molti ancora che nemmeno immaginiamo. Ad esempio, la telemedicina: un chirurgo può operare tramite robot da Palermo un paziente a Milano senza doversi spostare, e abbiamo ben visto come possa essere importante durante una pandemia.

Importante anche la possibilità di comandare a distanza macchinari che comportano un lavoro usurante e pericoloso per l’operatore, pensiamo non solo alla guida autonoma in contesto urbano ma soprattutto a quella dei veicoli agricoli. Inoltre, nella città de L’Aquila si sta sperimentando la possibilità di dare un avviso precoce alla popolazione di eventuali scosse sismiche.

Soprattutto, la tecnologia 5G permetterà di avere molti più dispositivi interconnessi tramite una rete stabile. Tutti sappiamo che quando ci sono tante persone con il cellulare in un’area ristretta, ad esempio durante un concerto o alla stazione Termini, la connessione diventa problematica con l’attuale rete 4G.

È stata quindi messa una pietra miliare che tutti coloro che sono interessati a chiarire che cosa sia esattamente la tecnologia 5G dovrebbero consultare. E questo, mi piace ricordarlo, è stato possibile proprio grazie a un impegno comune di tanti politici diversi che in questo caso hanno messo da parte le loro differenze e hanno lavorato insieme. Che tutto questo possa essere di modello in futuro su come si persegua davvero il bene comune?

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