Nel terzo millennio più di cento ponti sono crollati nel mondo. Quasi sempre con effetti disastrosi; e quasi sempre sono stati ricostruiti. Come? Quando? Un confronto con l’Oriente sarebbe impietoso: India e Cina giocano in un altro campionato, con regole diverse dalle nostre. Per impatto mediatico, importanza logistica e cultura socio-economica dominante, il caso più simile alla tragedia genovese del 14 agosto 2018 è quello del ponte della I-35W a Minneapolis: 8 corsie che superavano le cascate di Saint Anthony del Mississippi a Minneapolis.

Sul ponte, aperto nel 1967, transitavano 140mila veicoli al giorno. Crollò una sera d’agosto del 2007, provocando 13 vittime e 145 feriti. Tredici mesi dopo fu inaugurato un nuovo ponte a 10 corsie, ricostruito in base a un progetto avveniristico, aggiudicato dopo una gara a inviti tra 5 concorrenti. E il nuovo manufatto vinse più di 20 premi internazionali.

A Genova, il ponte sul Polcevera crollò il 14 agosto 2018. Il giorno dopo la concessionaria fece sapere con una nota di lavorare “alacremente alla definizione del progetto di ricostruzione del viadotto, che si completerebbe in 5 mesi dalla piena disponibilità delle aree”.

Il 16 il governatore e un vice-ministro delle Infrastrutture dichiararono all’unisono che “entro il 2019 i genovesi avranno un nuovo viadotto autostradale sul torrente Polcevera al posto del ponte crollato” e, il giorno successivo, il primo alzò la voce, invocando “un commissario con poteri straordinari che rimetta in piedi il ponte nel più breve tempo possibile, pretendo che il ponte in un anno sia di nuovo in piedi”. Per elencare le successive ipotesi, promesse, previsioni, profezie sulla ricostruzione da parte di politici e tecnici e oracoli, spesso improvvisati, non basta lo spazio di un post.

Alla fine, sono bastati due anni; un buon risultato, anche se raddoppia la performance di Minneapolis. E c’è chi teme costi a metro quadrato sulla stessa lunghezza d’onda. Un successo? Ponte San Giorgio è certamente un successo nel paese dove la favola dell’Alta Capacità ha quintuplicato i costi di costruzione delle ferrovie ad Alta Velocità, dilatandone i tempi di realizzazione e sacrificando pesantemente il paesaggio. Un enorme successo, poi, nella regione dove giace tuttora incompiuta l’Aurelia Bis del Savonese, una strada di scorrimento lunga cinque chilometri, finanziata quasi vent’anni fa e iniziata nel febbraio del 2012.

Ora che il ponte c’è, la circolazione sulla direttrice E80 da Lisbona a Gürbulak è finalmente ripresa regolare. Genova può così sfruttare appieno il sistema autostradale, di norma dedicato alle lunghe percorrenze, per muoversi tra i propri quartieri. E obbedire al patto faustiano che rende la mobilità locale ostaggio di quella a lunga distanza delle direttrici italiane ed europee; e viceversa.

Qualche dubbio, invece, permane sul “modello Genova”. Ciò che hanno scritto 75 vigili del fuoco liguri ai parenti delle vittime fa riflettere: “Ciò che si apprestano a celebrare non è solo la ricostruzione di un ponte indegnamente crollato ma è il cosiddetto “modello Genova” che vogliono estendere a tutta Italia con la scusa della crisi economica, cioè la costruzione di grandi opere infrastrutturali con ancora meno controlli, causa stessa dei disastri”. Bisogna riflettere bene se conviene fondare la rinascita post Covid-19 su questo modello.

Come scrive John Dickie dell’University College di Londra, l’Italia è la nazione europea più incline ai disastri. E la narrazione apocalittica associata a questa inclinazione ha spesso giustificato l’esaltazione dell’eccezionalità degli eventi da parte di maggiorenti, media e intellettuali, quale diversità intrinseca del nostro paese. Dopo ogni disastro, naturale e non, la politica e l’impresa prediligono da sempre la normativa emergenziale. Purtroppo, l’emergenza raramente si sposa bene con l’importanza. Spesso divorziano rapidamente.

La martellante campagna mediatica che esalta lo splendore del ponte più bello del mondo, costruito a tempo di record, fa male a Genova e al paese. In poco più di otto anni, i nostri nonni e padri costruirono una direttrice fondamentale lunga 760 chilometri, tutta gallerie e ponti, tutti diversi, che portano ciascuno la firma di uno dei protagonisti dell’ingegneria italiana del Novecento, da Riccardo Morandi a Silvano Zorzi, Giulio Krall, Arrigo Carè e Giorgio Giannelli, Carlo Cestelli Guidi, Guido Oberti: l’Autostrada del Sole, così battezzata su proposta del direttore della Sisi, Società Iniziative Stradali Italiane.

La prima pietra della strada sopraelevata a 2 carreggiate e 4 corsie che corona il waterfront del centro di Genova, lunga più di 5 chilometri, fu posta il 12 febbraio 1964. Progettata dall’ingegnere Fabrizio De Miranda del Politecnico di Milano, fu inaugurata il 25 agosto 1965, dopo 560 giorni. Ancor prima, la “camionale” A7 tra Genova e Serravalle – 49 chilometri di gallerie e ponti – fu completata in meno di tre anni e inaugurata dal Re Vittorio Emanuele III nel 1935, in assenza del Duce.

Ponte San Giorgio è un modesto viadotto lungo circa un chilometro. Possiamo vivere di illusioni: Roberto Gervaso scrisse che l’illusione, più che sperare, fa sognare. Molti agiografi di Ponte San Giorgio hanno scritto a ragione che i ponti uniscono e i muri dividono, dimenticando però che vale anche l’esatto contrario. Una vasta mitologia ravvisa nel ponte l’esemplare creazione del diavolo (Anita Seppilli, Sacralità dell’acqua e sacrilegio dei ponti, Palermo: Sellerio, 1977).

E il muro ha un significato ambivalente, non solo di respingimento ma anche di protezione, di senso del limite, di sede della memoria: non a caso, la bacheca di Facebook si chiamava in origine “the wall”.

Le opportunità non si costruiscono dalle tragedie, quale il crollo del ponte progettato da Riccardo Morandi con tecnica sopraffina per i suoi tempi e sublime eleganza. Sempre Gervaso ha scritto che le illusioni ci aiutano a vivere, le delusioni, a morire. Genova è la città italiana che in un secolo si è spopolata più di ogni altra. Ospitava 635mila abitanti nel 1936 contro i 574mila di oggi: non merita ulteriori delusioni.

Per questo sarebbe meglio non alimentare le illusioni, anche se ciò viene fatto a fin di bene. E rispettare una tragedia non soltanto genovese, ricordando le vittime di quel disastro, una vera e propria moderna strage degli innocenti, come ricordo in una poesia-canzone nella metrica di Giorgio Caproni.

Prima di ogni altra considerazione, oggi il pensiero va alle vittime: i loro nomi, le loro origini, le loro residenze, le loro provenienze e destinazioni eleggono il 14 agosto ad anniversario di una strage, la giornata della memoria di un olocausto.

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