Cultura

“Molte aquile ho visto in volo”. Le storie di chi ha scelto “il cielo come professione” nel libro di Filippo Nassetti sui piloti d’aereo

Il fratello maggiore, Alberto Nassetti, è stato il primo comandante di linea al mondo a tornare a volare dopo essere stato operato di un tumore al cervello. Poi c'è la storia di Francesco Miele, oggi pilota EasyJet, che da giovane perde la gamba destra in un incidente in moto. A salvarlo è una passante (e sua futura moglie). Il volume è uno scavo familiare, intimo e profondo in cui si mescolano ricostruzione personale e storica. La recensione

di Davide Turrini

Per amare Molte aquile ho visto in volo (Baldini&Castoldi) non importa essere esperti di cloche, slats e flaps. Il memoir scritto da Filippo Nassetti sull’epica contemporanea di una manciata di piloti di linea e della loro vocazione e istinto per il volo è uno di quei libri che ti avvolge l’anima con una naturalezza letteraria che va ben oltre i tecnicismi del settore. Alberto, Marco, Pier Francesco, Antonino, Dino, Francesco sono uomini che hanno fortemente voluto vivere e lavorare lassù, tra le nuvole, pilotando aerei, “il cielo come professione”. Poi certo, come ogni racconto che riguarda l’alta quota, la sospensione e la sfida alle leggi della gravità, Molte aquile ho visto in volo è un libro sul confine tra vita e morte, sugli incroci del destino, sugli incidenti aerei.

Diviso in capitoletti titolati con date che fluttuano tra il 1981 e il 2019, il libro di Nassetti è prima di tutto un tentativo delicato e riuscito di riannodare i fili delle memoria familiare, rispetto all’impavido e determinato fratello maggiore, Alberto Nassetti, il primo pilota di linea al mondo a tornare a volare dopo essere stato operato di un tumore al cervello, e che morì da “normale” passeggero durante l’esercitazione di un Airbus a Tolosa nel 1994. In parallelo, ma a ritroso rispetto alla linea temporale dall’infanzia all’età adulta di Alberto, c’è la storia di Pier Francesco Racchetti. Oggi pilota Ryanair, il volo come tradizione di famiglia, e un appuntamento tragico con la morte per suo padre, Pier Paolo Racchetti: anch’esso pilota ma dell’Alitalia come Alberto Nassetti, e che con Nassetti perirà sempre da passeggero durante quell’esercitazione a Tolosa nel 1994.

Lo scheletro formale, l’elemento ricorrente che sostiene l’esplorazione franca e ammirata dei piloti dell’aria da parte dell’autore è questo scavo familiare, intimo e profondo, che Nassetti ricostruisce senza fretta o enfasi, attirando a sé e commuovendo il lettore. Il testo mescola ricostruzione personale e storica con le parole dei testimoni dell’epoca, nonché il riemergere di lettere, biglietti, appunti o perfino poesie di Alberto. Gli intermezzi, invece, che diventano robusti e significativi capitoli all’interno dei capitoli più ampi, sono il racconto di alcuni piloti di linea che hanno vissuto situazioni al limite un po’ come Alberto. Antonino Vivona, ad esempio, è uno dei piloti sopravvissuti al tragico crash delle Frecce Tricolori a Ramstein il 28 agosto 1988. E il superamento dello shock da parte di Vivona, quel continuare a volare fino alla prima base possibile mentre alle spalle muoiono i tre colleghi, quel “perché il mio amico sì e io no”, risuona macabro e doloroso, negli echi di uno dei più impressionanti incidenti aerei che portò alla morte di 67 civili e ad oltre 340 feriti.

Francesco Miele è invece nel 2007 un giovanissimo pilota Alitalia – oggi da quarantaquattrenne lavora con EasyJet – che si va a schiantare contro un muretto mentre percorre una strada di Roma sulla sua moto Ducati. Nell’incidente Miele perde di netto la gamba destra e a salvarlo è Maria, la passeggera di un bus che viaggiava a pochi metri dall’impatto, che osserva l’accaduto e con sangue freddo intima all’autista dell’autobus di togliersi la cintura per creare un laccio emostatico da stringere attorno al moncherino di gamba rimasto a Francesco. Che i due poi si siano conosciuti e infine sposati è un happy ending mica da nulla. Che Miele sia tornato a pilotare un Boeing è l’impossibile, unico caso al mondo, un po’ come Alberto dopo l’intervento chirurgico, che diventerà realtà. Molte aquile ho visto in volo va sì, come scrive Gabriele Romagnoli nella prefazione, a scoprire chi c’è oltre la porticina della cabina del comandante d’aereo. Ma è anche il susseguirsi dell’eccezionalità di alcune esistenze che hanno spostato l’asticciola della vita oltre i confini del possibile, lassù tra le nuvole dove si sono trasformati e si trasformano in piccoli puntini sempre più piccoli verso l’infinito.

“Molte aquile ho visto in volo”. Le storie di chi ha scelto “il cielo come professione” nel libro di Filippo Nassetti sui piloti d’aereo
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