Se il vostro consulente finanziario cambia casacca e passa a lavorare per un’altra banca, fate attenzione! Perché lui, in tal caso, guadagna un bel po’ di soldini (“premio di ingaggio”) dal nuovo intermediario per effetto del trasferimento del suo patrimonio gestito, cioè dei risparmi dei suoi clienti, e voi vi potreste trovare nella condizione di dover sostenere pro-quota, senza accorgervene, quel costo.

Il turnover selvaggio dei promotori finanziari nelle reti è un fenomeno molto diffuso e particolarmente nell’ultimo periodo. Semplificando, si tratta di capire il fenomeno del continuo “cambio di casacca” che una buona fetta di promotori finanziari (oggi denominati consulenti finanziari) esercita come “professione” per fare soldi.

Ricordiamo che i “consulenti finanziari” sono i venditori “porta a porta” di prodotti finanziari, liberi professionisti che svolgono il loro operato sulla base di un mandato. In altri termini, si tratta di professionisti-impresa, con una propria partita Iva, che possono però collocare solo i prodotti della banca a cui sono legati da un vincolo monomandatario. Il promotore finanziario non può dunque vendere i prodotti di un altro istituito.

Il promotore finanziario non riceve uno stipendio fisso dalla banca, ma viene remunerato in base alle provvigioni sulle vendite effettuate al suo cliente. Sembra paradossale, ma il datore di lavoro del promotore non è la banca, bensì il cittadino-risparmiatore che diventa suo cliente (del promotore, non della banca). E a differenza dello scenario tipico del consulente-lavoratore dipendente (quello che troviamo allo sportello delle filiali), qui sono due i soggetti a dover guadagnare: la banca e il promotore. E secondo voi chi paga?

Ad ogni modo, sia i consulenti bancari (venditori allo sportello) sia i promotori finanziari (venditori “porta a porta”) sono figli della stessa madre. I gruppi creditizi-assicurativi, le grandi holding della finanza, posseggono sia una banca (con un brand) sia una rete di promotori finanziari (spesso con un altro brand). Le logiche commerciali sono le stesse: spingere le vendite per massimizzare i profitti per le banche e i consulenti, spesso senza preoccuparsi di offrire benefici ai clienti.

Occorre un cambio delle dinamiche e quindi di mentalità. Nel frattempo, però, dobbiamo difenderci. Come? Ad esempio, diffidate da quei promotori che cambiano spesso casacca e chiedetegli da quanti anni è iscritto all’albo e quante squadre ha cambiato in quel periodo.
Il problema va affrontato, però, anche dal punto di vista sistemico vista l’eccessiva aggressività nell’attività di reclutamento degli ultimi tempi manifestata da banche e reti di promotori finanziari.

La soluzione dovrebbe essere semplice: chi gestisce le reti non deve agevolare chi ha fatto del cambio di casacca una professione e la Consob dovrebbe accendere un faro su una problematica che, se ben disciplinata (oltre a quanto previsto da Mifid II), può costituire un primo deterrente per i “professionisti del cambio casacca”.

Dire a un cliente “senti, da domani non sarai più cliente di Banca X ma di Banca Y perché io devo guadagnare 500mila euro” dovrebbe diventare un po’ più difficile: che ne pensano alla commissione bicamerale banche, presieduta da Carla Ruocco?

MORTE DEI PASCHI

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