Quanti anni indietro dobbiamo tornare per rammentare un governo che impone a un grande gruppo industriale e finanziario di assumersi le responsabilità delle proprie azioni e omissioni? Non ce lo ricordiamo, purtroppo. Dobbiamo fermarci ai governi di Amintore Fanfani negli anni del grande boom industriale? O andare ancora più indietro e fissare l’obiettivo al secondo dopoguerra? Perché questo è il punto. Comunque la si pensi di Giuseppe Conte, e spesso non fa pensare bene, la decisione del consiglio dei ministri, terminato qualche ora fa, che estromette i Benetton dal controllo di Aspi, escludendo i capitani d’industria veneti (capitani coraggiosi, eh?) dal diritto di sedere nel consiglio di amministrazione, sancisce un principio sconosciuto in Italia.
Che cioè il governo ha diritto di chiedere conto. E ha diritto di revocare la fiducia nei confronti di chi gode di una concessione pubblica, se ne ricorrano le condizioni. E c’è qualcuno che può difendere l’operato di Aspi? Qualcuno che possa negare che la società concessionaria della maggioranza della rete autostradale italiana abbia goduto di condizioni di assoluto, straordinario e illegittimo favore? Qualcuno che possa negare che dalle tariffe i Benetton come gli altri soci abbiano ricavato profitti esagerati senza curarsi di investire il minimo sindacale in sicurezza?
Il fatto che per prenderne atto siano dovute morire 43 persone sotto il peso del ferro arrugginito e del cemento divenuto sabbia del ponte Morandi, misura la forza del cosiddetto capitalismo di relazione, la vastità della rete di solidarietà, quando non proprio di connessione.
Perciò oggi è un buon giorno. Perché finalmente, e per la prima volta, qualcuno è chiamato a prendersi la responsabilità e in qualche modo a pagare.
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