“Prenderemo un’anfora per esaminarla, per il relitto vedremo se sarà il caso di recuperarlo”, ha spiegato la Soprintendente Valeria Li Vigni commentando una recentissima scoperta, tutt’altro che trascurabile. Quella dei resti di una imbarcazione, con un carico di anfore datate tra il II e il I secolo a. C., a circa 70 metri di profondità, nello specchio di mare antistante Ustica, nel palermitano. Un ritrovamento avvenuto durante un’operazione di monitoraggio e rimessa in ordine dell’itinerario subacqueo, eseguita dalla Soprintendenza del Mare con il supporto tecnico-logistico della Guardia di Finanza.

Naturalmente il felice evento ha fornito l’occasione all’assessore dei Beni culturali e dell’identità siciliana, Alberto Samonà, per ricordare la figura del suo predecessore, Sebastiano Tusa e per confermare quanto le ricerche archeologiche in mare costituiscano “un investimento in termini di capacità di generare valore, attraverso il potenziamento di un segmento dell’offerta culturale connessa al patrimonio storico-archeologico sottomarino, in linea con i principi dettati dalla Convenzione Unesco sulla fruizione del patrimonio culturale”.

Quanto questa dichiarazione sia innervata oltre che di buoni propositi anche di adeguati finanziamenti lo evidenzieranno le future iniziative. Ma intanto rimane la scoperta, supportata dai dati scientifici che sarà possibile desumere dallo studio del relitto e del suo carico.

Intanto c’è una nuova testimonianza dei traffici commerciali in un’area che continua a regalare sorprese. Una testimonianza che, come prudentemente ha sottolineato la Soprintendente Li Vigni, potrebbe essere lasciata in loco. Sul fondo del mare. Naturalmente con tutte le accortezze possibili. Perché il recupero sarebbe oneroso, ma molto meno dei necessari restauri.

Senza contare che una volta concluse queste operazioni bisognerebbe trovare anche una sede idonea all’esposizione. Dal momento che sarebbe davvero delittuoso, alla fine di tutto, non offrire al pubblico la vista del relitto. La fruizione non può che costituire l’esito finale di ogni scoperta. Altrimenti è tutto un po’ inutile. Scoprire, studiare e arrivare a dei risultati, il più delle volte tutt’altro che definitivi.

La circostanza che il rinvenimento abbia avuto vasta eco non solo su tanti quotidiani, ma anche su diverse agenzie di stampa autorizzerebbe a pensare che la stessa attenzione verrà data anche alle fasi successive. Invece è più che probabile che la considerazione svanirà. Che quel che accadrà da ora in poi interesserà solo gli attori della vicenda. Dimostrando che quasi sempre l’interesse mediatico per le questioni archeologiche s’accende e si spegne al momento della scoperta.

Seguire le vicende nelle loro diverse fasi sarebbe un bel segnale. Per chi legge, certo. Ma anche per chi ne prova a scrivere.

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