di Susanna Barnaba

Si può finire a vivere in strada per i motivi più diversi. Per Gianni è stata la tossicodipendenza, ma forse ancora di più la mancanza di un sistema che lo abbia realmente supportato nel riprendere in mano la sua vita e che neanche in un momento di emergenza ha saputo proteggerlo.

Abbiamo incontrato Gianni durante uno dei nostri turni di visite mediche con l’ambulatorio mobile. Ha 62 anni e una storia di tossicodipendenza. Quando lo abbiamo conosciuto dormiva nella sua macchina, ma qualche mese fa, in pieno lockdown, gliel’hanno portata via ed è rimasto per strada.

La sua storia clinica è difficile quanto quella personale. È cardiopatico, ha l’epatite B e, nonostante sia in cura presso un Sert, spesso ricade ancora nel tunnel della dipendenza. Entra ed esce dagli ospedali, in un ciclo senza fine: quando la vita di strada rende i suoi sintomi troppo acuti viene ricoverato, e quando migliora viene puntualmente dimesso in mezzo alla strada, senza che nessuno si preoccupi di mettere insieme i pezzi della sua difficile storia.

Un giorno Gianni si presenta al nostro Ambulatorio mobile con sintomi preoccupanti, sintomi tipici del Covid-19. Ci attiviamo immediatamente per chiedere che gli venga fatto un tampone, ma ci ritroviamo ad affrontare una trafila ormai fin troppo familiare in questi mesi. A Roma non esistono strutture dedicate in cui le persone senza dimora possano essere ospitate in attesa del tampone e del suo esito, ma solo delle soluzioni eccezionali disposte caso per caso. Gianni non è fortunato e per lui il posto non si trova, così siamo costretti ad allertare il 118 e a farlo ricoverare di nuovo.

Gianni viene sottoposto a due tamponi, entrambi negativi, ma resta ricoverato alcuni giorni per problemi respiratori. Poi viene di nuovo dimesso e, per l’ennesima volta, torna in strada. Le fragilità di Gianni non possono però certo essere affrontate in pochi giorni e non passa molto tempo prima che abbia bisogno di un altro ricovero. Così viene portato in un istituto per la riabilitazione. Pochi giorni dopo la sua dimissione veniamo contattati dalla struttura perché ci sono stati dei casi positivi al Covid-19 e Gianni deve al più presto effettuare un tampone, ma non riescono a contattarlo. Tocca a noi spiegare la situazione alla struttura e iniziamo a cercarlo contattando i servizi a cui sappiamo che Gianni si appoggia per sopravvivere in strada.

Dopo vari tentativi riusciamo a rintracciarlo, viene sottoposto al tampone in strada e lasciato lì. Alcuni giorni più tardi arriva il risultato: tampone positivo. Gianni viene ancora una volta ricoverato, ma a questo punto non è più l’unico problema da gestire. Nei giorni precedenti e successivi al tampone, infatti, ha frequentato luoghi e persone, che adesso devono essere intercettate in fretta e sottoposte a un controllo.

Fortunatamente, tutte le persone in seguito sottoposte a controllo sono risultate negative, ma resta la preoccupazione per la gestione frammentaria di un caso che poteva avere conseguenze drammatiche. Ora più che mai è fondamentale che le persone vengano seguite in modo completo, tenendo in considerazione tutte le vulnerabilità presenti. Abbandonare a se stesse le persone che vivono ai margini della società, in un momento tanto delicato per tutta la collettività, espone a gravi rischi un alto numero di persone, anche e soprattutto quelle più fragili.

Photo credits: Martina Martelloni
Articolo Precedente

Montanelli: imperfetta è la statua, l’imbrattatore e un’umanità bisognosa di piedistalli

next
Articolo Successivo

Non distinguo più la realtà dai meme. E poi niente Pride: questo 2020 è un anno difficile

next