Domanda numero uno: si può usare l’ironia per raccontare queste giornate? Risposta numero uno: se stai (ancora) bene, non solo si può, ma si deve. E poi, è una “necessità”. Un concetto estremamente soggettivo, ormai normato per legge. Compiere 50 anni il 15 marzo del 2020 non è da tutti. È quello che mi vado ripetendo da giorni e giorni. Sembra una sorta di strano contrappasso: noi, la generazione degli eterni post-adolescenti, abituati a una vita sociale ossessiva e continua, in un certo senso fuori tempo massimo, costretti per legge a non festeggiare. E in effetti, cosa c’è più di nuovo di questo? Che cosa potrebbe segnare di più un passaggio epocale, esistenziale?

Nottate buie e promiscue, Dark room, incontri imprevisti e imprudenti, segreti inconfessabili, abitudini pericolose: a metà degli anni Novanta, nelle nostre vite di post-adolescenti, post-edonisti, post-sessantottini, post-settantottini, post-comunisti, post-cattolici, post-baby boomer (tendenzialmente post per chi non l’avesse capito), arrivò l’Hiv. Per noi, nati negli anni 70, era il virus della trasgressione, della punizione. La spada di Damocle sulla testa di chi deragliava dalle regole del vivere borghese. Almeno in Italia. Almeno a Roma. Chi aveva 20 anni negli anni 90 era arrivato troppo tardi per l’eroina e la lotta armata, per la dannazione e per la tragedia. In fondo, era un complesso che ci trascinavamo dietro. Essere quelli che erano arrivati dopo una fase di grandi ideali, magari sballati, magari crudeli, magari ingenui, magari imperdonabili. Ma comunque ideali. Dall’altra parte, invece, eravamo arrivati prima del rovesciamento sociale. Gli anni del cinismo sdoganato, dell’ignoranza elevata a valore, della superficialità brandita come un vessillo, in fondo non c’erano ancora.

Insomma, noi nati negli anni 70 siamo vissuti in un’eterna epoca di passaggio. Tra cose che non c’erano più e cose che non c’erano ancora. E improvvisamente, il passaggio si è materializzato in questi incredibili giorni tra la fine di febbraio e l’inizio di marzo.

A Roma c’è un silenzio surreale, la città intera trattiene il respiro. Ho visto gente in fila fuori dai supermercati, con uomini della vigilanza fare su e giù, atteggiamento efficiente, sguardo inafferrabile. Ho visto una suora entrare in farmacia, trascinandosi dietro una bombola di ossigeno. Panico tra i pochi astanti e dottoresse alla cassa in stato confusionale. Ho visto poliziotti parlare al telefono, cercando di coordinarsi, in evidente dell’invasione della Capitale da parte dei detenuti. Ho sentito gente per strada imprecare verso il filippino “che pretende pure di essere andato a prendere”. Ho visto cinesi con la mascherina, occhi che chiedevano in silenzio di non essere incolpati. Ho visto turisti sudamericani con la guida e clochard riversi per strada. Ho visto il centro di Roma come non me lo sarei mai immaginato. Piazza Farnese con quasi solo la camionetta davanti all’Ambasciata. Piazza Navona, un tutt’uno tra acqua delle Fontane, pioggerellina, immaginando il diluvio. Ponte Sisto, tra un musicista silente e una coppia intenta a farsi foto a vicenda, l’emblema del tempo sospeso che stiamo vivendo.

Da piccola, recitavo Missing di Costa Gavras a memoria. E ancora non sapevo quanto il Cile, paese che del coprifuoco ne sa qualcosa, sarebbe entrato nella mia vita. C’è un passaggio che mi risuona nella mente da giorni. A un certo punto, Jack Lemmon, arrivato a Santiago per cercare il figlio, scomparso, cerca di spiegare alla nuora, Sissy Spacek che in fondo i desaparecidos sono un effetto collaterale del nostro “sistema di vita”. È l’inizio per lui della presa di coscienza, che sarà trasformativa. Mentre ossessivamente continuo a lavorare (nel senso di parlare con persone, cercare notizie, leggere, informarmi, scrivere) e – come tutti – vivo compulsando Whatsapp, mi rendo conto fino in fondo del significato della parola “scelta”: quando la “necessità” è qualcosa che va stabilito ogni giorno e può avere ricadute sulle persone a cui vogliamo bene, ma anche su quelle che non conosciamo, ogni atto, anche piccolo, diventa frutto di una ponderazione prima inimmaginabile.

In effetti, potevo anche far finta di non averli compiuti mai 50 anni, vista la situazione. Un beneficio accessorio, si potrebbe definire, ma quasi troppo scontato. E invece, eccomi qua, a raccontarlo a tutti. Bastian contrario resto, coronavirus o no.

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