Alberto Sordi non aveva un grande successo all’estero. Pier Paolo Pasolini fornì una brillante spiegazione di questo fenomeno, in un articolo pubblicato nel 1960 su Il Reporter (La comicità di Sordi, gli stranieri non ridono). Sì, l’Albertone nazionale in Italia spopolava ovunque, ma incredibilmente non risultava esportabile all’estero. “Parrebbe intraducibile – scriveva Pasolini: Ma di che specie è il riso che suscita Alberto Sordi? – proseguiva l’intellettuale degli Scritti corsari – pensateci bene un momento: è un riso di cui un po’ ci si vergogna. E il massimo di questo senso di vergogna viene raggiunto nella risata angosciosa e un po’ isterica che Sordi strappa al pubblico nei due episodi dei Magliari, in cui vende la merce della povera ingenua gente tedesca, per di più colpita dal lutto”.

Cosa mancava a Sordi per essere un comico amato universalmente come lo erano Charlie Chaplin, Sten Laurel e Oliver Hardy, Jacques Tati oppure Jerry Lewis? Secondo Pasolini, il comico Sordi aveva perso il fanciullino pascoliano che dovrebbe restare vivo soprattutto in un comico. Sì, nessun comico è stato un rivoluzionario, però se ha visto riconosciuta la propria grandezza è stato quando è riuscito a mantenere la sua parte bambina e perfino infantile, rivelandosi un disadattato, un ingenuo, sbattendo, cadendo o deviando rispetto al rigore plastificato del mondo adulto. Il grande comico è ironia che si scontra con la presunta armonia.

Invece il comico Alberto Sordi era perfettamente adulto, cinico e inserito nel mondo adulto: “Scusate, ma io so’ io e voi nun siete un cazzo”, faceva dire all’indimenticabile Marchese del Grillo. Però raccontava un’Italia che tendiamo a rimuovere con troppa facilità.

A ricordarcelo, ancora oggi, è la triste vicenda della statua di Indro Montanelli, imbrattata e da alcuni contestata per la vicenda che ha visto il grande giornalista “sposare” una ragazzina etiope di 13 anni ai tempi della guerra. Fatto ripugnante? Sì, come del resto quello di un paese, l’Italia, che conquistò l’allora Abissinia (oggi Etiopia) aggiungendosi al lungo elenco di ricche nazioni dell’Occidente che avevano sfruttato quelle terre, oltre a sottomettere, stuprare e uccidere le rispettive popolazioni. Nel caso dell’Italia, poi, con l’aggravante di essere stato probabilmente il primo paese della storia ad aver utilizzato le armi chimiche (aspetto negato da Montanelli ma ben documentato dallo storico Angelo del Boca in vari libri).

Bene, quindi è stato giusto imbrattare la statua di Montanelli? Sarebbe cosa buona e giusta rimuoverla come pur alcuni chiedono a gran voce? Assolutamente no. Quella statua è lì perché Montanelli è stato un grande giornalista, uno di cui ho condiviso ben poco, invidiandogli però quella “facilità di penna” che è sempre sintomo anche di un pensare altrettanto fluido e coerente (seppure non condivisibile). Manzoni maltrattava pesantemente moglie e figlie, Wagner era un antisemita incallito, Heidegger era un nazista e moltissimi sono stati gli italiani illustri ad aderire al fascismo per squisite ragioni di opportunità e perfino opportunismo.

La nostra è un’epoca sciagurata per tante ragioni, una delle quali consiste nell’aver smarrito la capacità cognitiva che Hegel definiva col termine “distinzione”. A imperare è la logica binaria e riduttiva dei social: mi piace o non mi piace, bianco o nero, buono o cattivo. Peccato che la realtà sia più complessa, piena di sfumature, articolata.

Chi volesse comprenderla appieno deve mantenere proprio la capacità di distinguere: per esempio accertando il fatto che si può essere grandi giornalisti e aver macchiato la propria vita con idee o atti ripugnanti allo stesso tempo. Ma anche comprendendo che non si risolve la corruzione politica semplicemente sostituendo la “casta” con altri che si definiscono “onesti”, magari anche al netto di un’incompetenza e impreparazione comunque funeste, al di là della presunta onestà tutta da verificare.

Oppure ancora, comprendendo che il problema non sono le statue, semmai i piedistalli. Sì, quei piedistalli che nessuno abbatte perché si dà per scontato che nuovi miti, nuove ipocrisie, nuovi personaggi a cui attribuire un’aura di perfezione e santità si affacceranno sul proscenio ben più prosaico della vicenda umana.

Sordi non avrà fatto ridere gli stranieri, ma ha rappresentato l’essere umano (non solo italiano) come pochi altri. Chiunque non voglia fare la bella statuina, sa bene che non è del mondo umano quella perfezione “bambina” che ci piace raffigurare sotto forma di statue. Imperfetta è la statua, l’imbrattatore e certamente anche un’umanità bisognosa di piedistalli.

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