da Brasilia, Planalto

Chissà quali foschi pensieri sono passati per la testa di Jair Bolsonaro domenica scorsa, quando i pochi partecipanti alla manifestazione hanno lasciato il piazzale della Esplanada dos Ministérios già nelle prime ore del pomeriggio. I larghi spazi lasciati vuoti hanno oltremodo evidenziato il flop del raduno, che dopo qualche scaramuccia mattutina con i cortei degli oppositori, si è trascinato stancamente tra i soliti slogan urlati dal palco contro Stf e comunisti, invocando l’intervento dei militari che sembrano invece tenersi a debita distanza dalle isterie bolsonariste.

Bozo è stanco; logorato da un potere che al contrario di quanto asseriva Andreotti, in America Latina e specie in Brasile, consuma prima del tempo i suoi protagonisti. Eccezion fatta per Nicolás Maduro, che malgrado la sua mediocrità e con il Venezuela alla canna del gas da anni, rimane imperterrito in sella alla faccia degli Stati Uniti.

Come se non bastasse essere al centro del fuoco incrociato di media e Corte Suprema, ci si mette pure la sua famiglia: Fabrício Queiroz, lo scagnozzo del primogenito Flávio è stato arrestato, come parte dello schema di corruzione creato da Bolsonaro Jr. quando era legislatore a Rio – la cosiddetta rachadinha, un giroconto dove confluiscono parte degli stipendi statali percepiti dai collaboratori di Flávio – con tappa finale proprio nelle sue tasche.

Il padre, salito al governo soprattutto grazie ai voti del ceto medio che non ne poteva più del centrosinistra corrotto, ora si ritrova in casa lo stesso marcio che aveva promesso di combattere. Lui stesso, per evitare l’impeachment, ha dovuto concedere cariche e nomine a quei partiti di centro che sono l’ago distorto della bilancia nelle decisioni del Parlamento, fin quando Rodrigo Maia, presidente della Camera tuttora sotto inchiesta Lava Jato – rimasto impunito solo perché protetto dal Foro Privilegiado del Supremo Tribunale Federale – ha annunciato che “non è il momento delle divisioni, perché bisogna rimanere uniti contro la pandemia” rigettando di fatto la richiesta di impeachment su l’ex nemico: bisogna rimanere uniti, per continuare a sbafare.

Ma è “il fuoco amico” in cima alla lista dei pensieri di Bozo, ora che Donald Trump, suo punto costante di riferimento, dal 24 maggio ha vietato l’accesso a tutti i viaggiatori provenienti dal Brasile, chiudendo di fatto le porte in faccia all’alleato. Privo di supporto e sotto accusa per l’assenza di una qualsiasi strategia, con ben due ministri della Sanità fatti fuori in un mese, il presidente è ora isolato a livello internazionale. L’impressione è quella che si voglia danneggiare il Brasile solo per far cadere Bolsonaro.

Intanto si torna a battere il tasto mediatico sulla riforma tributaria che accorpi nel Ibs (Imposto sobre Bens e Serviços) tutte le imposte sui consumi. Sarebbe utile per dare trasparenza ai tributi da pagare, e avere una sola tassa calcolata sul prezzo di un prodotto o di un servizio, invece di tanti balzelli differenti. L’aliquota massima del 27,5% su imposta de renda passerebbe al 26%.

I ceti bassi sono esentati fino a 1900 R$ al mese, un tetto che potrebbe essere aumentato. I problemi maggiori sono a livello federale nella gestione delle amministrazioni locali, dove i fondi scarseggiano sempre. Il ritorno dei tributi in termini di servizio è pessimo, specie a livello medico e scolastico. Senza un costoso Piano de Saude privato non si accede a cure adeguate e lo stesso vale per la scuola: basti pensare che nello stato di São Paulo il governatore non è in grado di garantire la merénda a oltre 700.000 studenti. In realtà senza una patrimoniale sui redditi più alti che in Brasile sono tra i più sproporzionati al mondo, la flat tax avvantaggerebbe proprio questi.

Il caos sanitario

La curva di contagi e decessi Covid continua in un percorso a fisarmonica, spiegabile solo con i ritardi delle cittànella trasmissione dati e risultati dei test alle capitali degli Stati federali. Ci sono giorni in cui i numeri diminuiscono in sequenza, e altri che raddoppiano. Dal 19 al 23 giugno, ho calcolato una media diaria di 890 morti. Per ora la percentuale dei decessi sul numero dei casi rimane bassa: il 23 giugno siamo arrivati a 1.113.606 contagi con 51.406 vittime, 4,6%. In Lombardia nei giorni di picco si è superato il 10% così come in Yemen, Francia, Spagna, Regno Unito (fonte Univ. John Hopkins).

Ma se consideriamo anche le persone non registrate negli ospedali che si curano a casa con antivirali e corticosteroidi da pochi euro, i casi perlomeno raddoppiano. I medici condannano queste pratiche, imponendo di rispettare l’isolamento, ma in metropoli come Recife e Manaus dove le vagas, i posti letto in ospedale, sono già occupati per il 95-100% e dove metà della popolazione vive ammassata dentro favelas in 10 per nucleo familiare, stipati dentro scatoloni di lamiera e mattonato grezzo di 35-45 mq, l’isolamento non esiste.

Curarsi con farmaci che aiutano a prezzi che ci si può permettere pure con salari a 180 euro mensili, non è certo da condannare, semmai da regolamentare. D’altra parte il Brasile rimane una società a caste sul modello indiano dove i pariah non fanno testo e chi sta in alto detta legge. La realtà è quella che non si conosce o si fa finta di non vedere.

(Video e foto – © F.Bacchetta)

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