La sentenza di assoluzione per i due ragazzi di Arezzo accusati di aver tentato di stuprare la giovane Martina Rossi causandone la morte ha provocato molta indignazione. In primis del padre Bruno, storico camallo e sindacalista genovese, che da nove anni cerca giustizia per la figlia. E così sette portuali tra i 40 e i 50 anni hanno pensato di compiere un “gesto dimostrativo” andando direttamente a Castiglion Fibocchi, paese dove vivono i due 29enni assolti dalla Corte di Appello di Firenze. Secondo la polizia in realtà era un “raid” punitivo che avrebbe potuto avere conseguenze imprevedibili: i sette sono partiti da Genova con un furgoncino e sono stati fermati venerdì all’ingresso di Castiglion Fibocchi con taglierini, un manganello, bombolette spray e altri oggetti. Così sono stati denunciati per porto di oggetti atti ad offendere e non potranno fare ritorno nel territorio comunale.

Oltre al materiale sospetto, sul furgone la polizia ha trovato uno striscione (“Giustizia per Martina”). I sette sono stati fermati dalla polizia stradale al casello del Valdarno Inferiore per un controllo di routine che ha insospettito gli agenti: questi ultimi hanno avvertito la Digos e la Questura di Arezzo e il furgoncino è stato fermato all’ingresso del paese. I sette hanno spiegato agli agenti che volevano “mettere in atto un gesto di solidarietà” nei confronti del padre e amico Bruno Rossi e che non volevano “commettere violenza”. Anche il padre, al quotidiano La Nazione, ha negato che si sia trattato di “una spedizione”: “Io però ho sempre seguito la strada del diritto e ai due ragazzi assolti vorrei chiedere cos’è successo a Martina”.

A provocare indignazione, non solo tra i parenti di Martina Rossi, è stata la sentenza della Corte di Appello di Firenze del 9 giugno scorso: i giudici hanno ribaltato la decisione di primo grado del Tribunale di Arezzo che aveva condannato i 29enni di Arezzo, Luca Vanneschi e Alessandro Albertoni, a sei anni per la morte della 20enne che risale al 20 agosto 2011. In appello i due sono stati assolti perché “il fatto non sussiste”. Uno dei due reati per cui erano stati condannati nel dicembre 2018, quello di morte per conseguenza di un altro reato, era caduto in prescrizione nel novembre scorso mentre l’accusa di tentata violenza sessuale di gruppo invece si prescriverà ad agosto 2021. Ma i giudici di appello hanno assolto gli imputati con formula piena per entrambe le accuse: Martina Rossi non sarebbe morta per sfuggire a un tentativo di violenza sessuale in un hotel di Palma di Maiorca, dove si trovava in vacanza con un’amica. Dalle motivazioni si capiranno le ragioni che hanno portato il collegio dei giudici di Firenze, presieduto da Angela Annese, ad assolvere nel merito i due ragazzi sconfessando i propri colleghi di Arezzo.

I due giovani aretini si sono sempre dichiarati innocenti e i loro avvocati avevano chiesto l’assoluzione piena o la riapertura dell’istruttoria per difetti nelle indagini. Dopo la sentenza, uno di loro, Luca Vanneschi, aveva pronunciato una frase in conferenza stampa provocando ulteriori polemiche: “Martina, ovunque sia, lo sa che io sono innocente – aveva detto accompagnato dall’avvocato Stefano Buricchi – Il mio primo pensiero è stato per lei. Sarà contenta perché finalmente è venuta fuori la verità, quella che voleva anche lei”. Durissima la risposta del padre, Bruno Rossi: “Questi due signori non si possono permettere di dire cosa potesse pensare mia figlia. Lei voleva vivere e loro l’hanno lasciata morire”.

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