“Vattene due tre anni in America e ti mando in un posto a lavorare e guadagnare soldi assai però”. Così parlava il boss Francesco “Ciccio” Domingo, che a Castellammare del Golfo aveva riannodato i fili che collegano la Sicilia con le famiglie americane: a partire da quella dei Bonanno. Per alcuni pagamenti il capomafia, tornato alla guida della famiglia castellammarese, preferiva perfino pagare in dollari. Tutti lo conoscevano come ‘Tempesta’ e oggi i carabinieri di Trapani lo hanno arrestato assieme ad altre dodici persone. Oltre al boss, in carcere anche Rosario Antonino Di Stefano di 51 anni, Camillo Domingo di 63 anni, Francesco Domingo di 64 anni, Daniele La Sala di 40 anni, Salvatore Mercadante di 35 anni, Maurizio Gaspare Mulè di 54 anni, Antonino Sabella di 62 anni, Francesco Stabile di 60 anni e Carlo Valenti di 42 anni, mentre è stata notificata in carcere la misura cautelare nei confronti di Francesco Virga, arrestato nel blitz Scrigno. Ai domiciliari Diego Angileri di 83 anni, Felice Buccellato di 79 anni, Benedetto Sottile di 72 anni, Sebastiano Stabile di 73 anni. È morto durante le indagini invece Benedetto Sottile, detto Gheddafi.

Tra le perquisizioni eseguite stamattina, anche la casa e l’ufficio del sindaco Nicolò Rizzo, a cui è stato notificato un avviso di garanzia e domani sarà interrogato dai pm della Dda di Palermo che sulla vicenda hanno chiesto il massimo riserbo. È indagato per concorso esterno in associazione mafiosa, ma l’indagine è uno stralcio del blitz scattato stamattina e nell’ordinanza odierna non c’è traccia del suo nome. Sulla vicenda vige il massimo riserbo dei pm della Dda di Palermo che questa mattina hanno coordinato le perquisizioni nella sua abitazione e nel suo ufficio e domani sarà sottoposto a interrogatorio. Gli uomini di Domingo erano molto attenti agli equilibri politici, tanto che i militari dell’Arma li hanno monitorati mentre cercavano i responsabili di un furto di un mezzo agricolo, ai quali si era rivolto Francesco Foderà, consigliere comunale di Castellammare del Golfo, poi nominato presidente del consiglio comunale.

Il quartier generale di contrada Gagliardetta era diventato il riferimento del boss Domingo, che oltre ad essere figlioccio di Antonino Giuseppe Montagna, padre di Salvatore detto “Sal il fabbro” ammazzato nel 2011 a Montreal, vanta un vecchio legame di parentela con il primo capomafia italo-americano Salvatore Maranzano, ucciso nel 1931. Il link tra le vecchie famiglie e i nuovi picciotti sembra dunque rimasto inossidabile e Domingo era diventato il punto di riferimento per chi voleva incontrare i cugini d’oltreoceano, che di tanto in tanto tornavano in Sicilia. Nomi, riferimenti, parentele, ma soprattutto business e affari trasversali. Un’antica tradizione emersa ripetutamente negli ultimi anni, tanto da coinvolgere anche l’Fbi nelle indagini.

Ma Domingo era il referente degli affiliati per la risoluzione delle controversie interne alla stessa famiglia. Non faceva mistero di considerarsi in opposizione al reggente Mariano Saracino, arrestato alcuni anni fa. Tanto da interrompere sul nascere un tentativo di estorsione portato avanti da Gaspare Maurizio Mulè, che pretendeva tremila euro come risarcimento per un licenziamento. L’aspetto curioso è invece una riunione monitorata dai carabinieri, tra i referenti di tre mandamenti trapanesi, escluso quello di Castelvetrano, riferito al latitante Matteo Messina Denaro. In poco tempo i complici di Domingo riuscirono a convocare il vecchio boss di Marsala, Diego Angileri e l’allora capo di Trapani, Francesco Virga. Un incontro inter-mandamentale, senza alcuna traccia dell’ultima primula rossa di Cosa Nostra.

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