Bello era bello, non c’è che dire. Lo sarebbe ancora, se soltanto non cadesse a pezzi. Lo stadio San Nicola di Bari è forse il simbolo perfetto degli strani mondiali di Italia ’90, perché ne racchiude al contempo la magia e gli errori, la bellezza e gli sprechi. Costato 153 miliardi di lire, firmato dal grande Renzo Piano, fu uno dei centri nevralgici del torneo, con la finale per il terzo posto degli azzurri contro l’Inghilterra, amara consolazione del sogno mondiale infranto. Un anno dopo avrebbe ospitato addirittura la finale di Coppa Campioni vinta ai rigori dalla Stella Rossa contro l’Olympique Marsiglia. Due anni di gloria non sono bastati a fermarne l’inesorabile declino. Costruito nella periferia ovest della città, anzi proprio nel nulla, si è trasformata pian piano in una cattedrale nel deserto: sui desolati terreni circostanti si sono ciclicamente rinnovati una serie di appetiti immobiliari, mai però concretizzati insieme alla valorizzazione dell’impianto. Un po’ come la squadra locale, l’“astronave” non è mai riuscita a decollare veramente e si è ridotta in avaria: 13 dei 24 teloni in teflon, simbolo dello stadio, si sono staccati uno dopo l’altro, così alla fine l’amministrazione si è decisa a rimuoverli tutti. Soltanto di recente il Comune del sindaco Antonio Decaro ha approvato un primo, piccolo progetto di restyling, con la sostituzione di migliaia di seggiolini. E ha affidato per 5 anni l’impianto al nuovo Bari di De Laurentiis. Il futuro, però, resta un’incognita.

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