Era chiaro da tempo a qualunque persona di buon senso e dotata di una cultura media come la presidenza Trump fosse al tempo stesso la più chiara dimostrazione del vertiginoso declino politico, economico, sociale e culturale della superpotenza statunitense nonché un fattore destinato inevitabilmente ad accelerare tale declino, esasperando le molteplici crisi in cui il Paese versa, al pari del resto del resto dell’Occidente e di buona parte del pianeta.

La barbara uccisione del cittadino statunitense afroamericano George Floyd, soffocato da un criminale in uniforme da poliziotto, non è solo l’ennesimo episodio di questo genere, verificatosi in un Paese dove ancora è molto diffuso il peggiore razzismo e in certi ambienti non trascurabili sono tornate in auge le bandiere e i rituali del Ku Klux Klan.

La reazione di sdegno che ha attraversato tutti gli Stati Uniti, con la partecipazione anche di numerosi bianchi, l’intensità delle dimostrazioni, anche violente, che hanno avuto luogo, la dissociazione di settori delle forze dell’ordine e la diffusa esecrazione verso l’indegno atteggiamento assunto dallo stesso Trump, hanno squadernato di fronte a tutto il pianeta la profondità della crisi che sta attanagliando gli Stati Uniti.

Il contesto è com’è noto quello planetario della presente pandemia di Covid-19, che proprio negli Stati Uniti sta mietendo un enorme numero di vittime, soprattutto nei settori più poveri ed emarginati (si calcola che almeno l’80% dei contagi stia avvenendo tra le cosiddette minoranze etniche, che sempre meno sono tali).

La pandemia è penetrata nel Paese come in un panetto di burro, data l’inesistenza di un’assicurazione sanitaria universale obbligatoria, dopo che perfino i timidi passi avanti fatti da Barack Obama sono stati spietatamente cancellati da Trump. E’ noto d’altronde che quest’ultimo, al pari del suo fan Bolsonaro e di qualche pittoresco cialtrone italico, ha assunto una posizione sostanzialmente negazionista, compiacendosi delle manifestazioni convocate dalla destra suprematista contro le misure di distanziamento sociale che, come ci insegna l’esperienza italiana, sono di vitale importanza per impedire il dilagare dei contagi.

Una posizione assolutamente irresponsabile che si è ulteriormente amplificata di fronte alle massicce e combattive manifestazioni, in vari casi delle vere e proprie rivolte, che si sono verificate per protestare contro l’atroce assassinio di George Floyd. Trump, nel disperato tentativo di sfruttare il clima sociale a fini elettorali, di fronte all’imminenza delle presidenziali, ha cavalcato senza indugi un’esasperata linea repressiva, invocando il pugno duro contro i dimostranti, l’intervento delle Forze armate in ordine pubblico e l’armamento dei suoi sostenitori, con vari ulteriori richiami del famigerato secondo emendamento.

Molte ed autorevoli sono state le voci che si sono dissociate da questa linea esasperata. E’ il caso di ricordare le ferme critiche espresse da molti alti ufficiali e quelle dello stesso George Bush. Ma nel bizzarro sistema elettorale statunitense tutte le strade appaiono ancora aperte e non è detto che lo spregiudicato gioco d’azzardo di Trump non gli porti dei risultati concreti in sede elettorale, specie tenendo conto del fatto che il suo avversario sarà lo scialbo e indeterminato Joe Biden.

Come che vadano le prossime Presidenziali, la presente crisi statunitense conferma la sua natura strutturale e di sistema. La disoccupazione di massa che si sta verificando, anche al seguito della pandemia, rappresenta un ulteriore gravissimo fattore destabilizzante. La totale mancanza di prospettive del Paese induce questo presidente, probabilmente il peggiore che gli Stati Uniti abbiano mai avuto, verso avventure di ogni genere sia sul piano interno che su quello internazionale.

Per quanto riguarda il primo, come accennato, egli incita alla repressione e all’indurimento dello scontro sociale, rasentando pericolosamente la soglia della guerra civile. Per quanto riguarda il secondo, è noto come Trump abbia costantemente disobbedito alle indicazioni del Segretario generale delle Nazioni Unite che aveva chiesto che nel contesto della pandemia fossero sospese tutte le misure coercitive unilaterali.

Non solo ha mantenuto queste ultime, nei confronti di Cuba, Nicaragua, Venezuela ed altri, ma ha intensificato le azioni di destabilizzazione terroristica contro il governo bolivariano di Nicolas Maduro, cercando sciacallescamente di approfittare della situazione per recuperare il controllo del Venezuela e delle sue ingenti risorse.

Riuscirà il popolo statunitense a fermare Donald Trump? Più che negli incerti esiti dello scontro elettorale presidenziale la risposta a questo interrogativo è legata alla capacità di tale popolo di dare una risposta alla crisi del sistema, prevenendo la guerra civile e bloccando le avventure imperialiste sul piano internazionale. Ma ciò, è chiaro, richiederebbe una vera e propria rivoluzione nel Paese capofila del capitalismo internazionale.

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