L’utilizzo dell’analogico nella Pubblica amministrazione è l’eccezione e non la regola. Dovrebbe essere così anche per il ministero del Lavoro e delle politiche sociali, che però sembra aver dimenticato quanto previsto dalla stessa normativa, almeno per quanto riguarda i mandati di patrocinio agli Istituti di patronato e assistenza sociale. E questo non può che farci riflettere.

Gli ultimi mesi ci hanno aperto gli occhi su come il digitale possa e debba funzionare al meglio, in tutti i settori. E se c’è un ambito nel quale l’utilizzo del digitale è già ampiamente regolamentato e reso, almeno astrattamente, obbligatorio al suono di “digital first”, è quello dell’amministrazione pubblica. Ricordo che esiste un Codice, appunto dell’Amministrazione Digitale – Cad, che sembra ripetere inutilmente da anni principi corretti, se attuati con convinzione e coraggio.

Sono però troppo frequenti, proprio nelle amministrazioni pubbliche, sacche di resistenza al digitale che andrebbero smontate, se non addirittura condannate con forza. Un esempio molto attuale è rappresentato dall’art. 36 del dl 18/2020 che riconosce agli Istituti di patronato e di assistenza sociale la possibilità di acquisire, fino alla cessazione dello stato di emergenza sanitaria, il mandato di patrocinio in via telematica, invece del vecchio mandato cartaceo sottoscritto con firma autografa.

La normativa generale permette agli Istituti di patronato di agire in rappresentanza e negli interessi di cittadini lavoratori per ottenere dal ministero del Lavoro, Inps, Inail ecc. preziose informazioni, benefici, sussidi etc. Garantire in settori come questi una reale “spinta”, grazie all’innovazione digitale, potrebbe essere una grande opportunità e sarebbe senz’altro una riforma da applaudire. Ma se si guarda tutto con attenzione, qualcosa sembra non tornare.

Nell’art. 36 leggiamo infatti che questa importante opportunità viene concessa nel solo periodo di emergenza e in deroga a una norma, l’art. 4 del Regolamento di cui al dm Lavoro 193/2008, ma sorprendentemente quest’ultimo non opera in alcun modo un espresso divieto in merito all’acquisizione in via telematica del mandato! In cosa consisterebbe, quindi, questa importante deroga concessa “solo in emergenza”?

Il corto circuito è reso poi ancora più evidente da una circolare esplicativa del ministero del Lavoro (peraltro sottoscritta con firma digitale dal Direttore generale Concetta Ferrari) che, nel fornire chiarimenti interpretativi al dl 18/2020, ribadisce l’eccezionalità della ricezione telematica dei mandati in questo ambito e sottolinea il doveroso “ritorno alla normalità” al termine dell’emergenza.

Si legge tra le righe una certa paura per questa “nuova” forma che assumerebbero i mandati, come se il documento informatico non potesse garantire certezze o validità giuridica a ciò che rappresenta. Vorremmo tutti davvero comprendere cosa, secondo la firmataria, avrebbe in meno un mandato – firmato elettronicamente dal cittadino (perfettamente in linea con quanto previsto dal Cad già da anni) e inviato tramite posta elettronica al patronato – rispetto al mandato cartaceo…

È doveroso ricordare che se l’utilizzo delle tecnologie dell’informazione è un obbligo per le Pa, allo stesso modo è anche un diritto dei cittadini comprimibile solo in presenza di specifiche disposizioni normative motivate da particolarissime esigenze. Il ministro del Lavoro sembra dimenticare regole così importanti che tutelano da tempo i nostri diritti di cittadinanza digitale.

E così, invece di regolamentare modalità sicure (ad esempio richiedendo l’utilizzo di firme digitali e/o posta elettronica certificata) con le quali permettere ai cittadini di inviare sempre, e non solo in emergenza, i mandati con modalità telematiche, preferisce accordare una “falsa” deroga a una norma che non ha mai vietato l’utilizzo del digitale.

Curioso che ciò accada quando si legge che è stato appena istituito un Fondo di 50 milioni di euro per la digitalizzazione e la trasformazione digitale della Pa. Appaiono briciole, in verità, nella palude melmosa delle incrostazioni cartacee che caratterizza purtroppo molte nostre pubbliche amministrazioni ed è determinata – ricordiamolo – dal potere incredibile dei cassetti chiusi a chiave con i documenti ben custoditi all’interno.

In realtà, se ci fosse oggi finalmente una vera strategia nazionale, basata prima di tutto sulla costruzione di competenze interdisciplinari al servizio della digitalizzazione e sul riuso delle buone prassi (che ci sono, ma fanno troppa paura per essere condivise), questi 50 milioni di euro potrebbero essere una buona base di partenza, anche per stimolare un sonnecchiante ministero del Lavoro. Ma si preferisce ricorrere al vacuo storytelling con i suoi generici slogan: da Spid a Io fino all’open source, dal blockchain al riuso del software. Ancora una volta, purtroppo.

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