“Maglie troppo larghe sui meccanismi di controllo” per i prestiti garantiti dallo Stato. Con il rischio concreto di “fare un regalo a mafie e corruzione“, come hanno paventato nelle scorse settimane il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero De Raho e i capi delle Procure di Milano e Napoli Francesco Greco e Giovanni Melillo. A lanciare un nuovo allarme, nel giorno in cui il governo alla Camera pone la questione di fiducia sul testo del decreto Liquidità approvato dalle Commissioni Finanze e Attività produttive, sono Libera di Don Ciotti e gli altri promotori del Patto GiustaItalia, tra cui Avviso Pubblico, Legambiente, Arci, Rete dei Numeri Pari, Gruppo Abele, Cgil, Cisl, Uil e Centro Studi Pio La Torre.

Le associazioni, dopo aver presentato il 30 aprile diciotto proposte per la ripartenza – il patto GiustaItalia appunto – che spaziano dai diritti sociali agli appalti, avevano promosso alcuni emendamenti al decreto che sono stati accantonati durante l’iter in commissione. Ora fanno appello a governo e Parlamento perché approvino almeno due modifiche al testo dell’articolo 1 bis riformulato dal governo, che regola il meccanismo dell’autocertificazione per la richiesta di prestito garantito da Sace. Autocertificazione in cui all’imprenditore viene chiesto di dichiarare di essere in regola con la normativa antimafia – su questo i controlli sono affidati a Sace che si doterà di una piattaforma di comunicazione automatica con la banca dati nazionale antimafia – e di non aver ricevuto condanne definitive per reati fiscali negli ultimi cinque anni. Nulla si dice però riguardo a tutte le altre tipologie di reati.

“Fate presto”, si legge nel comunicato. “Siete ancora in tempo per evitare lo scandalo di finanziamenti garantiti dallo Stato alle imprese responsabili di gravi delitti come la corruzione o i reati ambientali. Non è accettabile che di fronte alla necessità di destinare le risorse pubbliche alle situazioni di grave emergenza sociale ed economica che sta vivendo il nostro Paese non venga fatto il massimo per garantire, allo stesso tempo, maggiore celerità nella loro destinazione ed esclusione dai benefici di chi ha accumulato profitti in questi anni, a discapito delle imprese sane e oneste, rendendosi responsabile di gravi reati”.

La prima proposta di modifica punta allora ad impedire che a beneficiare del decreto siano anche gli imprenditori colpevoli, secondo sentenze di condanna di primo grado, di gravi reati: da quelli di mafia alla corruzione, dai reati fiscali ai delitti contro l’ambiente.

La seconda proposta prevede che siano introdotti meccanismi di tracciabilità più stringenti rispetto al solo conto corrente dedicato su cui trasferire il prestito – che è previsto dall’emendamento riformulato. “La norma attuale è di dubbia efficacia dissuasiva“, fanno notare dal gruppo di lavoro di Giustaitalia che nelle scorse settimane ha incontrato il governo sui temi del decreto Rilancio “senza ottenere ascolto su nulla”. “Infatti non prevede per il titolare dell’impresa richiedente alcun obbligo specifico se non quello di “essere consapevole” del fatto che i finanziamenti garantiti dallo Stato saranno erogati su un determinato conto. Nulla dice, impone o sanziona con riferimento a quello che dovrebbe essere il vero obbligo ed impegno dell’impresa, cioè l’obbligo di un corretto impiego del finanziamento e secondo i termini previsti dal decreto”. Di conseguenza “apparirà difficile imputare le responsabilità penali per falsità dell’atto richiamate dall’art. 76 del DPR 445 del 2000 nei confronti di un soggetto che utilizzi in modo scorretto il conto corrente dedicato”.

Non solo: “Anche la disposizione che subordina l’operatività “in uscita” del conto all’inserimento di una specifica causale nei bonifici è una norma di dubbia efficacia, in quanto sprovvista di sanzione nei confronti della banca qualora consenta la movimentazione del conto a fronte di una richiesta di prelevamento o di un ordine di bonifico verso terzi sprovvisto della casuale o con recante una casuale difforme”.

Per quanto riguarda l’accesso da parte della società pubblica Sace alla banca dati antimafia, fanno sapere i promotori, “la Sace dovrebbe essere inserita fra i soggetti obbligati, come banche commercialisti e notai, a denunciare alle autorità giudiziarie le imprese sospette. Anche questa mancanza è incomprensibile“.

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