La Corte Suprema sta in questi mesi esaminando un caso che potrebbe ridurre il diritto all’aborto negli Stati Uniti. Come in ogni ciclo elettorale, la questione aborto promette di tornare di attualità anche nello scontro di novembre per la presidenza. Niente di meglio della difesa del feto, infatti, per infiammare gli spiriti e le rivendicazioni dell’elettorato più religioso e conservatore di Donald Trump. Ma è in questi giorni un film documentario a ridare fiato a vecchie battaglie, a rancori lontani e a personaggi che si pensavano ormai seppelliti. Il film è AKA Jane Roe e racconta la storia segreta di Norma McCorvey.

Oggi il nome di Norma McCorvey può non dire molto. Eppure è stata una delle persone più influenti, anche suo malgrado, del Novecento americano. Norma è infatti Jane Roe, la donna in nome della quale si combatté alla Corte Suprema la causa “Roe v. Wade”, quella che riconobbe il diritto all’aborto negli Stati Uniti. La sua storia, tra realtà e leggenda, è stata raccontata molte volte. Veniva dalla Louisiana, era cresciuta in Texas. Il padre abbandona la famiglia quando Norma ha tredici anni; lei e il fratello vengono allevati dalla madre alcolizzata. Dentro e fuori dal riformatorio per una serie di piccoli furti, stuprata regolarmente dal cugino della madre, a 16 anni Norma sposa il coetaneo Woody McCorvey. Due anni più tardi dà alla luce la prima figlia, che dopo una serie di battaglie legali viene data in custodia alla madre. Norma e Woody hanno problemi di alcool, di droga. Alla coppia nasce una seconda figlia, data subito in adozione. Nel frattempo, Norma non nasconde la sua attrazione anche per le donne.

Quando nel 1970, a 21 anni, rimane incinta per la terza volta, decide di non tenere il figlio. C’è però un problema. Le leggi del Texas consentono di abortire solo in caso di stupro o incesto. Norma dice di essere stata violentata, ma non riesce a fornire prove della violenza. Si rivolge a una clinica dove si praticano aborti illegali – che viene chiusa prima dell’intervento. Finisce nello studio di due avvocate, Linda Coffee e Sarah Weddington, che in quei mesi stanno cercando casi da portare in tribunale a sostegno della causa pro-aborto. Norma è quel caso. Diventata Jane Roe per proteggerne l’anonimato, la ragazza e la sua storia avanzano di tribunale in tribunale, fino alla Corte Suprema, che nel 1973 legalizza l’aborto in tutti gli Stati Uniti. Norma/Jane non ha partecipato a una sola udienza di quello storico processo; nel frattempo, ha partorito una figlia, data ancora in adozione, e si è legata a Connie Gonzales, la donna che resterà per anni nella sua vita.

Dopo la sentenza della Corte, Norma McCorvey esce quasi subito allo scoperto. Rivela di essere lei Jane Roe, e di aver cercato di abortire perché depressa. C’è il tempo per qualche altra sortita pubblica – nel 1983 nega la versione della depressione, proclama ancora di essere stata stuprata – prima dell’ennesimo giro di valzer. Norma, che lavora in una clinica abortista, si lega spiritualmente a un pastore evangelico, Flip Benham, che nell’agosto 1995 la battezza in diretta TV. Cristiana rinata, militante di “Operation Rescue”, il maggiore gruppo anti-abortista Usa, partecipa da allora a ogni tipo di a sit-in e manifestazione; va in televisione ed esprime il rimorso per le vecchie scelte disgraziate; scrive un’autobiografia, Won by Love, in cui racconta la conversione. Ancora: si fa cattolica, molla la compagna di 35 anni e proclama di voler guarire dall’omosessualità, protesta all’inaugurazione del democratico Barack Obama. Norma McCorvey è insomma un esempio di guerriera di Cristo; l’emblema del movimento anti-abortista americano.

Norma muore a 69 anni, nel 2017. Negli ultimi mesi di vita, ormai malata, gira un altro documentario. Glielo chiede un giovane regista, Nick Sweeney. Lei acconsente e, sapendo che le resta poco da vivere, definisce il film “la mia confessione sul letto di morte”. AKA Jane Roe (che sta per “conosciuta anche come Jane Roe”) esce venerdì 22 maggio su FX. Il documentario contiene una verità inattesa e per certi versi sconvolgente. La conversione di Norma è stata una balla. Finta. Costruita. “Ero il pesce più grosso – racconta nel film -. È stato aiuto reciproco. Ho preso i loro soldi e loro mi hanno messo di fronte a una telecamera e mi hanno detto cosa dire. È stato teatro. Sono una buona attrice”. Quanto all’aborto, Norma ribadisce quello in cui ha sempre creduto: “Se una giovane donna vuole abortire, non sono cavoli miei. È quello che si chiama scelta”.

Nel film compare, tra gli altri, anche Rob Schenck, ex-leader di “Operation Rescue” ora uscito dal gruppo, che conferma la versione di Norma. È stato uno scambio, dice Schenck: a lei i soldi, ai religiosi lo scalpo del movimento anti-abortista. AKA Jane Roe mostra Norma stanca ma ancora vitalissima. Cita Macbeth, si intristisce quando racconta della fine della relazione con Connie, dice di essere una persona “molto glamour, che ci volete fare, è un dono naturale”. Sul perché abbia deciso di far entrare la sua vita in un tribunale, è molto chiara: “Sapevo che cosa ho provato quando ho scoperto di essere incinta e non volevo che un’altra donna si sentisse come mi sono sentita io: squallida, sporca, cattiva”.

È l’ultimo sensazionale colpo di scena nella vita della donna diventata un simbolo per gli opposti eserciti, per chi dice di credere nella vita e per chi crede nel diritto inalienabile della donna sul suo corpo. A tutti, ormai dissolta nella morte, manda un segnale. Quello di essere stata lei, Norma McCorvey alias Jane Roe, più forte di qualsiasi simbolo.

(screenshot tratto da YouTube)

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