Reperimento illegale del metallo, “lavorazione” all’interno dei campi rom della Capitale, smaltimento non autorizzato in un centro rottami fuori Roma. E ancora: autoriciclaggio attraverso l’acquisto di terreni e immobili ed esportazione del “prodotto finito” in Ucraina. Il tutto per un volume d’affari che tocca quota 25 milioni di euro. Una delle più importanti filiere italiane del riciclo illecito dei materiali ferrosi, che genera – fra le altre cose – il cosiddetto fenomeno dei roghi tossici, è stato smantellato dalla Dda di Roma e dai carabinieri della sezione di polizia giudiziaria della procura di Roma, con la collaborazione dei militari del comando provinciale della Guardia di finanza di Latina, i carabinieri forestali di Roma e Latina e gli agenti della polizia locale di Roma capitale. Un lavoro di squadra che ha portato a 27 arresti fra la Capitale e il capoluogo pontino e al sequestro di oltre 17 milioni di euro fra società, conti correnti e automezzi.

Si tratta di un meccanismo più volte teorizzato dagli inquirenti. Al centro del quella c’era secondo gli investigatori la Centro Rottami srl di Cisterna di Latina, 40 chilometri a sud della Capitale, dove agiva la società gestita da Leopoldo Del Prete, 63 anni e da suo figlio Gennaro, 34 anni. La ditta, si legge nell’ordinanza di custodia cautelare, “è di fatto ‘aperta’ a qualsiasi soggetto che voglia conferire rifiuti, in particolare metallici o comunque con valore economico” e “le sue strutture, sia tecnico-amministrative che finanziarie, sono utilizzate per la gestione di ingenti quantitativi di rifiuti illecitamente conferiti”.

Una pratica che, secondo gli inquirenti, durava almeno dal 2014. “Per mascherare l’illecita gestione dei rifiuti ed aggirare la normativa (…)”, si legge nel provvedimento, la società “ha acquistato migliaia di tonnellate di rifiuti da chiunque conferiti, indicandoli, falsamente, nei documento contabili, come rottami metallici, cioè End of Waste, per poi, a fine giornata, riportarli nella stragrande maggioranza dei casi quali rifiuti suddivisi per codici Cer come conferiti da privati”. Uno stratagemma che ha permesso ai Del Prete di incassare oltre 30mila euro al giorno.

A conferire i rifiuti erano “trasportatori” sia italiani sia bosniaci, questi ultimi esponenti di spicco di alcune note famiglie legate ai campi rom capitolini. A dare il là all’inchiesta, infatti, sono stati una serie di furti avvenuti fra il 2017 e il 2018 presso il centro di raccolta Ama di Mostacciano, a Roma, riconducibili, secondo gli investigatori, al “gruppo criminale facente capo a Zajko Sejdovic”, residente in un insediamento irregolare di via Casilina, che prelevava i rifiuti Raee (in genere elettrodomestici, come frigoriferi e lavatrici). “Vi sono enormi costi – si legge nel provvedimento del gip Nicolò Marino – non solo sociali ed ambientali, posti a carico della collettività (…) si pensi ai roghi tossici nei campi rom, provocati spesso per ripulire il rame e altri metalli dalle guaine o altro, con conseguente immissioni nell’ambiente di sostanze tossiche come le diossine”. Tra gli arrestati anche Dzevad Seferovic e Ekrem Ahmetovic, esponenti del campo tollerato di via Salviati, a Tor Sapienza, attenzionato da tempo proprio per il fenomeno dei roghi.

Ma gli affari di Leopoldo e Gennaro Del Prete, secondo gli inquirenti, non si fermavano solo allo smaltimento illegale dei rifiuti metallici e dei Raee. I proventi, milioni di euro, in parte venivano reinvestiti per “conquistare nuove fette di mercato anche oltre frontiera, come l’esportazione di alluminio in Ucraina”, attività che aveva permesso alla Centro Rottami srl di aumentare esponenzialmente il proprio fatturato, anche del 90% da un anno all’altro; in altra parte venivano “auto-riciclati” attraverso una società gemella, la Genovi srl, attraverso operazioni immobiliari ritenute false documentate per quasi 1 milione di euro: la Centro Rottami acquistava dalla Genovi srl attraverso assegni circolari intestate ad altre aziende “cedenti”.

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