Mentre l’Italia si prepara a riaprire dopo il lockdown, i contagi da coronavirus sul luogo di lavoro sono al centro di uno scontro tra industriali, Inail e sindacati. Confindustria chiede uno scudo penale per le aziende che dimostrino di aver rispettato in modo scrupoloso i protocolli di sicurezza. I rappresentanti dei lavoratori sottolineano come gli imprenditori onesti e in regola non abbiano nulla da temere. Mentre i consulenti del lavoro ribattono che anche chi ha adottato tutte le misure prescritte rischia un lungo procedimento penale e il sequestro dell’attività fino alla fine delle indagini, con relative ricadute economiche. In mezzo il governo, che deve decidere come muoversi.

La ministra Nunzia Catalfo venerdì pomeriggio si è confrontata con l’Inail e ha anticipato “un nuovo documento con specifici chiarimenti su questo tema”, con la premessa che “fondamentale per le aziende sarà il rispetto dei principi stabiliti dai protocolli di sicurezza”. Il titolare dello Sviluppo Stefano Patuanelli sembra nettamente orientato a riconoscere le ragioni degli industriali. “È giusto che l’impresa metta in sicurezza i propri dipendenti”, ha detto a 24 Mattino, “ma le aziende che rispettano i protocolli non possono rispondere dei contagi, è un diritto sacrosanto“.

Il giuslavorista: “Serve chiarimento, evitare indagini penali in automatico” – Il nodo nasce dal decreto Cura Italia, in base al quale “nei casi accertati di infezione da coronavirus in occasione di lavoro” l’Inail assicura un indennizzo a chi si è ammalato, trattando dunque il contagio come un infortunio lavorativo. Come del resto è previsto da sempre nei casi di malattie infettive. Ma nel corso di una pandemia le occasioni di contatto con il virus sono tante, dentro e fuori le aziende. “È davvero difficile provare il nesso di causalità e lo sarà ancora di più ora che riaprono negozi, bar e ristoranti“, commenta con ilfattoquotidiano.it Aldo Bottini, presidente dell’associazione Avvocati giuslavoristi italiani (Agi). “Certo, se si ammalano 20 persone nella stessa azienda quello è un chiaro indizio. Ma in generale bisognerebbe evitare il corto circuito per cui si presume che il contagio sia avvenuto sul lavoro, viene aperto un fascicolo penale e l’imprenditore si ritrova indagato. Sarebbe opportuno un chiarimento normativo per evitare che scattino automatismi e mezza struttura produttiva del Paese finisca sotto indagine”.

Condanna solo in caso di dolo o colpa. Ma le aziende temono i sequestri – Ovviamente una condanna per lesioni – o addirittura omicidio, in caso di morte del contagiato – richiede che vengano provati il dolo o la colpa grave. Chi ha adottato le misure sanitarie e informative prescritte nei protocolli firmati da governo, imprese e sindacati, dunque, può stare tranquillo. “I moltissimi imprenditori onesti, che hanno a cuore la salute dei propri dipendenti, non hanno da temere nulla“, assicura in una lunga analisi Silvino Candeloro, membro del collegio di presidenza del patronato Inca Cgil, secondo cui “chi chiede uno scudo penale generalizzato per le imprese o è in mala fede oppure non sa leggere le disposizioni dei protocolli”. Resta il fatto che l’indagine quasi sempre porta con sé il sequestro dei locali aziendali per fare gli accertamenti. I tempi possono essere lunghi e nel frattempo l’attività è congelata. Gli imprenditori paventano che i casi di questo tipo si moltiplicheranno, fermando sul nascere la ripartenza appena iniziata e coinvolgendo in un’azione penale anche chi ha fornito i dispositivi di protezione individuale e messo in atto tutte le altre misure previste dai protocolli di sicurezza.

L’ipotesi di esentare dal penale chi ha rispettato le regole – Di qui la richiesta, ribadita dal neo vicepresidente di Confindustria Maurizio Stirpe, di “esentare dalla responsabilità penale l’azienda che abbia rispettato in modo scrupoloso il Protocollo per la sicurezza sui luoghi di lavoro”. “Senza parlare di “scudi”, e con la premessa che chi risulta inadempiente va ovviamente penalizzato, occorre però una riflessione del legislatore”, commenta Rosario De Luca, presidente della Fondazione Studi Consulenti del Lavoro. “Penso che lo stesso Inail o gli ispettori del lavoro, a fronte di un contagio, potrebbero valutare se l’azienda ha rispettato il Protocollo per il contenimento del virus. Il datore di lavoro in regola non dovrebbe subire un’azione penale”. Una linea che sembra condivisa da una parte del governo: il 6 maggio il sottosegretario al Lavoro Stanislao Di Piazza, rispondendo a un’interrogazione parlamentare, ha detto che “una responsabilità sarebbe ipotizzabile solo in via residuale, nei casi di inosservanza delle disposizioni” a tutela della salute dei lavoratori. E ha definito “problematica” la configurabilità di una responsabilità civile o penale del datore di lavoro che operi nel rispetto delle regole.

Inail: “Nessun automatismo tra infortunio sul lavoro e responsabilità” – Va detto che l’Inail, finito nel mirino della lobby degli industriali, ha precisato che “dal riconoscimento come infortunio sul lavoro non discende automaticamente l’accertamento della responsabilità civile o penale in capo al datore di lavoro”. Di più: il suo presidente Franco Bettoni, intervistato dal Mattino, ha chiarito come “la denuncia di infortunio da infezione di nuovo coronavirus non determina alcun automatismo“, nel senso che l’istituto è tenuto a “valutare le circostanze e le modalità dell’attività lavorativa” prima di determinare se c’è un’alta probabilità o la certezza che il contagio sia avvenuto sul lavoro. Del resto la circolare Inail del 3 aprile spiega che la “presunzione di origine professionale” vale solo per operatori sanitari e altri lavoratori in costante contatto con il pubblico (front-office, addetti alle vendite e alle pulizie negli ospedali). Negli altri casi “l’accertamento medico-legale seguirà l’ordinaria procedura” tenendo conto di elementi epidemiologici, clinici, di anamnesi e delle circostanze di lavoro.

Sindacati tra richiesta di chiarimenti e no allo scudo – Le precisazioni dell’Inail però non bastano né alle imprese né ai sindacati. La segretaria nazionale della Cgil Rossana Dettori parla di “rilievi problematici e molto preoccupanti” e si dice “sorpresa” per l’intervista di Bettoni che “a nostro avviso contraddice quanto affermato dallo stesso Istituto nella circolare 13, che assegnava il meccanismo di presunzione semplice a lavoratori e lavoratrici dei settori cosiddetti essenziali”. Servono dunque “azioni di chiarimento e implementazione per quanto riguarda i diritti e le tutele”. Per Angelo Colombini, segretario confederale Cisl, l’istituto ha dato “un chiarimento importante, cioè che le aziende virtuose non dovrebbero avere problemi”, ma questo non è sufficiente. “Bisogna non essere ideologici“, premette Colombini. “Come si determina se hai contratto il virus in azienda o in metropolitana? Il problema c’è, le parti sociali che hanno firmato i protocolli devono definire un percorso perché l’interpretazione non può essere lasciata ai singoli magistrati”. Secondo l’Usb, invece, non serve alcun chiarimento normativo e “l’attacco” di Confindustria all’Inail “sottende in realtà una vera e propria rivendicazione di avere mani libere su condizioni e organizzazione del lavoro, l’insofferenza verso ogni regola che tuteli i lavoratori, l’indignazione per la lesa maestà di possibili, quanto improbabili, controlli da parte di quello Stato al quale si chiede continua assistenza senza contropartite“.

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