“Ho conosciuto Charles De Gaulle, Yuri Gagarin, Umberto di Savoia, ma tutti mi riconoscono grazie a 90esimo minuto”. Davanti a Cesare Castellotti (Vaglienti), classe 1939, bisogna solo togliersi il cappello. Una vita da cronista, cinque mondiali di calcio, sei Olimpiadi, telecronache di partite di golf, la passionaccia per le auto nuove (“ancora oggi vado alle presentazioni come free lance”), ma soprattutto la domenica pomeriggio su Rai1 il collegamento con Paolo Valenti dopo la partita della Juventus, o del Torino, che lo ha reso un’icona della tv sportiva italiana. A Kitikaka ricorda cinquant’anni di carriera (con il rigoroso bollino “intervista effettuata prima del DPCM 11 marzo 2020”).

Due parole, una carriera: 90esimo minuto.
È stata l’esperienza più bella della vita. Mi ha dato soddisfazione, visibilità e la fiducia di un capo che ho sempre ammirato: Paolo Valenti.

Castellotti Cesare: presente (fin dalla prima edizione del programma…)
Paolo poteva prendere anche altri, ma ha scelto me. Mi alternava sulla Juventus e sul Torino. Poi mi mandava anche a Milano in alternativa a Gianni Vasino, anche lui non lombardo ma ligure. Valenti considerava poco la redazione di Milano, che era comunque fortissima. Non vi dico il broncio dei colleghi milanesi. Ero comunque il prediletto di Paolo: con la Juve, Torino era la piazza principale del calcio italiano.

Però tu tifavi Toro?
La mia simpatia è tutt’ora per i granata, anche se non sono mai stato tifoso di una squadra di calcio. È stato, come dire, un fatto anagrafico e affettivo. Io sono del ’39 e ricordo come fosse oggi la tragedia di Superga del 4 maggio ’49. Ero in casa a Pinerolo e sentii l’urlo di mamma dall’altra stanza della casa. “Cesare vieni a sentire è caduto aereo a Torino, ci sono tanti morti, pare ci siano dei calciatori”. Tra l’altro ricordo che sul luogo dello schianto arrivammo prima noi della Rai che i vigili del fuoco.

A 90esimo si commentavano le partite sempre con un filo di ironia…
Era un teatrino. Qualcuno ci paragonava ai carri di Tespi. C’erano le battute e le ripicche tra colleghi. Punzecchiature che da un lato indisponevano Valenti, dall’altro Paolo ci marciava un po’ sopra e ci godeva.

Ad esempio tra te e Giannini da Firenze…
Ricordo quella volta in cui Marcello era tutto intento a parlare di Roberto Baggio e del suo attaccamento alla maglia viola. Mi collegai io da Torino e dissi: “Mettetevi il cuore in pace, Baggio è già della Juve”. Valenti trasalì. Ma io spiegai: vi posso anche dire perché. Nella tenuta del conte Pontello sulle colline toscane assieme all’avvocato Agnelli si è deciso il passaggio di Baggio a Torino. L’avevo saputo da un alto dirigente di una catena d’alberghi e la sparai così a 90esimo. Il giornalista le notizie non le può tenere chiuse nel cassetto. Non ti dico il casino sui giornali il giorno dopo.

Poi c’era lo scontro Vasino-Necco, Milano-Napoli…
E Valenti come si incazzava: “Basta con queste storie, usate il vostro telefono per dirvele”. Anche se poi stava al gioco.

Gli inviati di 90esimo si riconoscevano per nome, tipo formazione della grande Inter o dell’Italia ’82.
Quando iniziammo c’eravamo solo noi. La domenica davamo per primi le immagini dei gol alle 18.15. C’era già tutto lì.

Com’è cambiata in 40 anni la tv che segue il calcio e lo sport?
Per una cosa è cambiata in meglio: i giornalisti che si occupano di calcio hanno maggiore competenza specifica. Noi eravamo un po’ macchiette. Eravamo tutti autodidatti e non così specializzati. Non so nemmeno se qualcuno di noi avesse mai praticato il calcio oltre l’oratorio. Carlo Nesti, forse, che era bravissimo, come i colleghi di oggi. Molto preparati erano anche Riccardo Cucchi ed Emanuele Dotto.

Ancora dovevano venire processi, analisi, moviole…
All’epoca la moviola nemmeno c’era e uno diceva quello che gli pareva di avere visto. Oggi hanno il ritorno della prova immediato, dopo un secondo, e se dicono una cazzata vengono sbugiardati subito. Magari noi ci prendevamo meno sul serio. Cazzeggiavamo un po’. Ma l’interesse del pubblico era: cosa tirano fuori oggi Castellotti o Vasino?

Qualcosa in negativo, invece?
La terminologia. Oggi molti dicono “è stata una partita fisica”, ma che cosa vuol dire? Allora posso dire che l’altra squadra è molto chimica? La padronanza della lingua italiana in certi casi oggi lascia a desiderare, questo sì. Bastava dire: è una squadra molto dotata fisicamente o mi si passi il termine “è stata una partita maschia”.

Questione di capi e direttori un po’ diversi…
Paolo Valenti era il più bel giornalista della Rai, il più competente tra i capi ed era anche uno esigente. Un altro di questa pasta era Villy De Luca. Noi avevamo dei capoccioni grossi che guai a dire una cosa che si prestasse al doppio senso. Ricordo un collega che in radio disse in diretta: “I giocatori hanno fatto acqua a centrocampo”. Subì la ramanzina del direttore Vittorio Chesi: ma allo stadio non ci sono i pisciatoi?

Tu sei stato preso in giro dalla Gialappa’s con quel clamoroso Gianduia Vettorello interpretato da Teo Teocoli a Mai dire gol: ti sei mai arrabbiato?
Ma quando mai? L’ho adorato. Teocoli poi era un personaggio di prima grandezza della tv. Uno che conosce lingua italiana e con un grande senso dell’umorismo. Non me la sono mai presa. E poi mi presero in giro in tanti ad esempio c’è la storia dei baffi.

Ci manca.
Beh, era stato quel bastardo di Enrico Montesano (ride ndr), a Studio Uno, il sabato sera. Fece un sketch dove disse: “Ho scoperto il segreto di Castellotti: ha i baffi o no?”. Poi tirò fuori dal taschino un paio di baffi finti. Se li metteva e se li toglieva. Se li metteva e se li toglieva. “Non si capisce mai se li ha o non li ha”. Così la domenica dopo nel collegamento delle 14 mi presentai in diretta coi baffi, poi poco prima del collegamento di 90esimo alle 18 e 20 andai in bagno a rasarmeli e comparii in diretta senza.

Si ironizzava anche sul tuo abbigliamento…
Ricordo quella giacca improbabile che mi regalò il grande sarto Litrico. A metterla oggi mi vergognerei. Era di un velluto a quadri marroni e gialli, una tonalità un po’ del cavolo. Fu un regalo, me la mandò il grande sarto romano dopo un mio servizio sul convengo mondiale dei sarti a Saint Vincent che avevo seguito come cronista. Il tessuto era inguardabile. Però mi sembrava uno sgarbo non indossarla. Glielo dissi: “Maestro, sono un giornalista non un personaggio dello spettacolo, questa giacca è un po’ strana”. Visto il grande valore di mercato dovuta alla firma, la giacca finì poi all’asta in una cena di beneficienza.

Se non avessi fatto il giornalista Rai che lavoro avresti fatto?
Chissà… il funzionario del catasto? No, ma sognavo i pezzi da inviato. Facevo il giramondo talvolta anche a mie spese. Una volta ero in crociera nel Mar Nero su una nave appena varata, vanto della marina mercantile sovietica. Fu uno spasso, con me c’era pure Paolo Villaggio con la moglie Maura. Il comandante sapeva che ero giornalista e mi chiamò quando al ricevimento si palesò un ospite d’eccezione: Yuri Gagarin.

Dicevano che era dura la vita del cronista…
Mi pare fosse il 1964 quando intervistai Charles De Gaulle. Ero uno degli inviati Rai all’inaugurazione del traforo del Monte Bianco. Per la tv c’erano Giuseppe Bozzini ed Emilio Fede. Per la radio Leoncillo Leoncilli, che purtroppo è mancato, e Andrea Boscione, è mancato anche lui, intanto mi sto toccando non si sa mai. Volevano vedere le domande prima e l’intervista doveva durare 50 secondi. Io sono alto 1.83, ma De Gaulle sfiorava i due metri. Alzai il braccio per fargli arrivare il microfono vicino alle labbra. Era una montagna. Mi sentivo svenire dalla paura, ti incuteva terrore, rispetto, emozione.

Non si vive di solo 90esimo…
Conobbi anche Giscard d’Estaing. Andava a Chamonix. Di Luigi Einaudi fui ospite nella sua villa di San Giacomo a Dogliani. Conobbi in Spagna nella sua casa di vacanza il re Juan Carlos, il re Carlo Gustavo di Svezia a Capri. Fui ospite di Umberto di Savoia a Villa Italia di Cascais. Poi conobbi Moro, Fanfani, La Malfa, Scelba, Berlinguer. Facevo cronaca, non politica, dovevi ingegnarti a seguire tutto. Diventai amico anche di Umberto Eco. Ci vedevamo ad Alessandria. Conobbi anche Eugene Ionesco. 90esimo mi ha dato grandi emozioni e soddisfazioni personali, ma alla fine eri un generalista con una specializzazione quasi nulla. Ci salvava la grande curiosità.

Da qualche parte abbiamo letto che conoscesti anche “La Divina”…
Maria Callas la conobbi perché mia sorella, anche lei non c’è più, e se permetti continuo a toccarmi, era consulente legale di suo marito. Vivevano sul Lago di Garda fino a quando lei s’innamorò dopo una crociera di Onassis e si fermò a vivere con lui a Montecarlo. Così disse al marito: torna pure in quella catapecchia sulla riva di una pozzanghera, io rimango qui.

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