Amazon France chiede la cassa integrazione per 10mila lavoratori di sei diversi siti. Ma Parigi risponde picche. Per il ministero del lavoro, la chiusura degli impianti non è dovuta all’impatto del coronavirus che, anzi, ha incrementato le vendite online. Ma è piuttosto legata a doppio filo con la scarsa sicurezza sui luoghi di lavoro. Un brutto colpo per la multinazionale statunitense che anche in Italia è finita nell’occhio del ciclone proprio per via di quelle che Oltralpe i sindacati hanno definito “condizioni di lavoro inaccettabili” e a rischio contagio. Dovrà continuare a pagare i lavoratori di tasca sua, anche se le attività sono ferme.

Mentre in Italia le organizzazioni di categoria hanno fatto appello agli ammortizzatori sociali, Oltralpe invece sono stati proprio i sindacati a soffiare sul fuoco definendo “indecente” la richiesta di Amazon. Il motivo? L’intera storia risale agli inizi di aprile. Dopo essere stata messa cinque volte in mora dall’ispettorato del lavoro, Amazon è finita nel mirino della magistratura francese. In una sentenza dello scorso 14 aprile, i giudici hanno evidenziato come l’azienda avesse “in modo evidente violato gli obblighi di sicurezza e di prevenzione della salute dei suoi dipendenti”. Per questa ragione, tenuto conto dell’emergenza sanitaria, avevano imposto all’azienda una valutazione dei rischi assieme ai rappresentanti dei dipendenti. Intanto avevano obbligato l’azienda a limitarsi alla vendita di beni essenziali come “prodotti alimentari, medicali e per l’igiene” ipotizzando un’ammenda da un milione di euro per ogni infrazione contestata (ridotta poi a 100mila in appello). Secondo Amazon France, restare aperti avrebbe comportato il rischio di una sanzione fino ad un importo di un miliardo a settimana.

All’indomani della sentenza, confermata in appello lo scorso 24 aprile, il gruppo americano si è dichiarato “perplesso” evidenziando di aver da tempo già messo in campo misure di sicurezza come lo scanner per rilevare la temperatura corporea, mascherine e distanziamento fra i lavoratori. Fonti ufficiali hanno poi spiegato che sarebbe stato comunque impossibile riorganizzare lo smistamento nel giro di 24 ore non avendo peraltro una sorta di lista ufficiale dei prodotti considerati “essenziali”. “Abbiamo un catalogo di 250 milioni di prodotti. Come si fa ad applicare concretamente la sentenza in modo operativo senza rischi?” ha spiegato un portavoce di Amazon all’agenzia di stampa AFP. “Un tagliaunghie, ad esempio entra nella definizione di prodotto essenziale?”.

Così, di fronte al rischio di una ammenda rilevante, Amazon ha deciso di chiudere provvisoriamente i siti di smistamento. Secondo quanto riferisce il sindacato francese CGT, il comitato interno dei lavoratori Amazon ha votato in favore della chiusura di tutti i siti per cinque giorni a partire dal 18 aprile. L’operazione doveva ufficialmente servire “per sanificare i siti e valutare i rischi”. Ma il gruppo non ha indicato una data per la ripresa delle attività.

Al ministero del lavoro è arrivata invece la domanda di cassa integrazione per i lavoratori dei sei siti. Una misura che riguarda attualmente undici milioni di francesi garantendo l’84% dello stipendio netto. Ma la risposta del ministero è stata negativa. “La chiusura dei siti dell’azienda non è legata ad un ribasso dell’attività, ma ad una sentenza giudiziaria. E la cassa integrazione non è prevista per questi casi”, hanno spiegato dallo staff del ministro del lavoro, Muriel Pénicaud. I lavoratori Amazon dunque continueranno ad essere pagati dall’azienda. Mentre va avanti la vera e propria guerra che da tempo il governo francese ha ingaggiato con i giganti statunitensi del web.

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