di Diego Battistessa*

La regione latinoamericana vive in questi giorni la stretta morsa di un virus, il Covid-19, che sta rispettando i più nefasti pronostici in termini di diffusione e letalità. La risposta dei governi è stata difforme, le eterogenee situazioni economico-sociali hanno dato vita ad una notevole varietà di approcci politico-sanitari.

Dalla mano dura del Presidente Nayib Bukele in El Salvador, dove las Maras (le bande criminali organizzate) puniscono con castighi fisici chi non rispetta la quarantena, passando per il blackout culturale in Argentina (che affronterà quasi sicuramente il nono default economico della sua storia in questo mese di maggio), fino ad arrivare al negazionista presidente del Brasile, Jair Bolsonaro (circa 100 mila contagi e quasi 7000 morti) che in questi giorni di emergenza sanitaria e di polarizzazione politica deve rispondere alle accuse del sue ex ministro delle giustizia Luiz Henrique Mandetta.

Dall’altro lato, sempre in Brasile, il nuovo ministro della salute Nelson Teich sarà a Manaus nei prossimi giorni per verificare la condizioni di una delle zone più colpite del Paese (hanno fatto il giro del mondo le immagini delle fosse comuni alle porte della città amazzonica). Bolivia e Cile vivono in un limbo. La Bolivia aspetta le nuove elezioni dopo i fatti di ottobre 2019 che hanno visto uscire Evo Morales di scena, il Cile aspetta di poter ridare vita ai venti di protesta che infiammarono il Paese, non appena la tregua, sancita de facto per rispondere all’emergenza Covid-19, sarà terminata.

Il governo dell’Ecuador ha dovuto ammettere che la situazione nella provincia del Guayas è fuori controllo e che i numeri di morti e contagiati fino ad ora forniti non rispondono alla realtà dei fatti. Il confinamento della popolazione a Guayaquil e Quito (la capitale del Paese) è stato prolungato e 112 dei 221 cantoni (che corrispondo alle nostre province) rimangono zona rossa. Nel frattempo il Presidente Lenin Moreno ha siglato un accordo con l’Fmi per ottenere attraverso il prestito 643 milioni di dollari. Questi si aggiungono agli altri 500 milioni che dovrebbero arrivare dalla Banca Mondiale.

Il Perù conta già 42.534 persone contagiate e 1.200 morti: la stampa locale riporta numerosi casi di contagio di personale sanitario e la mancanza di bombole di ossigeno per i pazienti più gravi. La Colombia (più di 7000 contagi e poco più di 300 morti) vive una molteplicità di crisi in contemporanea. Oltre alla situazione di estrema emergenza e vulnerabilità del milione e mezzo di venezuelani emigrati nel paese, arriva la notizia che l’Ejército de Liberación Nacional (Eln) non rinnoverà la tregua unilaterale stabilità durante il mese di aprile: ciò si deve al fatto che non c’è stata reciprocità nel rispetto della tregua da parte del governo di Ivan Duque.

In Colombia un altro tasto dolente è rappresentato dall’isolamento e abbandono di molte comunità indigene che stanno soffrendo in modo drammatico il confinamento sociale e la sospensione delle attività. Non meglio vivono gli indigeni che nel corso degli anni, spinti dal conflitto interno, hanno raggiunto le periferie delle città, una su tutte la capitale Bogotà. Senza il supporto delle comunità di origine, senza poter lavorare e senza poter pagare l’affitto: una situazione di miseria e sconforto, nell’invisibilità generata dal dramma comune.

Il Messico rimane il grande punto di domanda. Ufficialmente si parla di più di 20 mila contagi e circa 2000 decessi ma il Paese guidato da Amlo appare più diviso che mai. I test vengono effettuati a campione e da lì vengono fatte proiezioni sul possibile numero di contagi a livello nazionale. La prestigiosa Universidad Nacional Autónoma de México (Unam) smentisce questi dati del governo e parla di 265.000 possibili contagi solo nell’ultima settimana.

In Nicaragua l’altro negazionista, il presidente Ortega, è accusato di nascondere i dati dei contagi e di inazione di fronte alla crisi, mentre Santo Domingo (7000 casi), Panama (7000 casi) Honduras (1010 casi), Guatemala (700 casi) e Haiti (85 casi) non nascondono le preoccupazioni legate alle pandemia.

Cuba sembra riuscire a mantenere sotto controllo l’avanzata del virus (1649 positivi e 67 morti) cosi come l’Uruguay e il Costa Rica (il cui sistema di salute è diventato il simbolo dell’efficienza nella regione). A livello regionale però anche il Dengue e il morbillo continuano a mietere vittime.

Il Paraguay è appena uscito da una forte epidemia di Dengue che ha provocato 177.104 casi e 53 morti, in una popolazione di circa 7 milioni di persone e che può contare solo su 20 letti di terapia intensiva equipaggiati con i respiratori necessari per far fronte al Covid-19.

Infine, l’International Rescue Committee (Irc) ha presentato nel suo ultimo report delle cifre agghiaccianti riguardo a ciò che potrebbe succedere a causa della pandemia in Paesi che già soffrono crisi politiche, economiche o sociali: la proiezione parla di fino ad 1 miliardo di contagi e di 3,2 milioni di morti in 34 paesi, tra questi in America Latina troviamo El Salvador, Colombia e Venezuela, quest’ultimo in preda ad una molteplice emergenza umanitaria senza precedenti nella sua storia.

* Docente e ricercatore dell’Istituto di studi Internazionali ed europei “Francisco de Vitoria” – Università Carlos III di Madrid. Latinoamericanista specializzato in Cooperazione Internazionale, Diritti Umani e Migrazioni. www.diegobattistessa.com
Mail: dbattist@inst.uc3m.es
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