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Germano Celant, morto il grande critico d’arte e curatore di mostre

Era stato ricoverato nel reparto di terapia intensiva quasi due mesi fa al San Raffaele di Milano dopo essere stato scoperto positivo al Coronavirus. Come scrivono diverse testate, Celant aveva accusato i primi sintomi di ritorno in Europa dagli Stati Uniti, dove era stato per l’Armory Show

di Davide Turrini

Addio Germano Celant. Il celebre critico d’arte e curatore è morto ad 80 anni. Era stato ricoverato nel reparto di terapia intensiva quasi due mesi fa al San Raffaele di Milano dopo essere stato scoperto positivo al Coronavirus. Come scrivono diverse testate, Celant aveva accusato i primi sintomi di ritorno in Europa dagli Stati Uniti, dove era stato per l’Armory Show. Genovese, famiglia di origini modeste, laurea in lettere, e un’attività di studio ed esplorazione dell’arte a 360 gradi, Celant nel settembre 1967 cura una mostra nella Galleria La Bertesca di Genova e nel ’68 un’altra esposizione alla Galleria De Foscherari di Bologna. In entrambi i casi espongono tra gli altri Jannis Kounnellis, Michelangelo Pistoletto, Mario Merz, Alighiero Boetti e Mario Ceroli.

Ed è grazie a loro e ad un testo redatto da Celant che nasce la definizione, che poi farà scuola, e diventerà corrente artistica tout court, dell’ “arte povera”. Un’idea di composizione dell’opera ideologicamente antisistema e antiamericana, di rifiuto rispetto ad ogni aspettativa codificata, in contrapposizione a quell’idea di artista come soggetto seriale o catena di montaggio del mercato (“ uscire dal sistema vuol dire rivoluzione”, scriveva Celant). L’ “arte povera”, oltretutto, si poneva in chiave critica anche contro ogni derivazione tecnologica di molti loro recenti predecessori. Assunto che nella pratica significava il riutilizzo e l’uso di materiali “poveri” e semplici: legno, plastica, stracci, acciaio. “Là un’arte complessa, qui un’arte povera, impegnata con la contingenza, con l’ evento, con l’astorico, col presente, con la concezione antropologica, con l’uomo reale, la speranza, diventata sicurezza, di gettare alle ortiche ogni discorso visualmente univoco e coerente”, spiegava Celant.

Un fermento quello dell’arte povera che vide Celant al centro della sua teorizzazione e del suo affermarsi. Recentemente, anche a fronte di parecchie correnti successive che trasformarono l’arte povera a sua volta in gesto seriale, meccanico, di sistema, Celant prese come le distanze per centrare nuovamente il punto: “Arte Povera è un’espressione così ampia da non significare nulla. Non definisce un linguaggio pittorico, ma un’attitudine. La possibilità di usare tutto quello che hai in natura e nel mondo animale”. Negli anni settanta, ottanta e novanta Celant ebbe poi una lunga e ricca carriera: collaborare con del Guggenheim New York, curatore di mostre al Centre Pompidou di Parigi (1981), alla Royal Academy of Arts di Londra (1989) e a Palazzo Grassi a Venezia (1986 e 1989) e ancora direttore artistico, nel 1997, della 47esima Biennale d’Arte di Venezia. Lascia la moglie Paris Murray e il figlio Argento Celant. Nei giorni scorsi, Michelangelo Pistoletto, classe 1933, tra i primi ad essere parte attiva dell’arte povera con il Venere degli stracci, aveva raccontato la sua battaglia contro il Covid-19, vinta dopo un mese di degenza attaccato all’ossigeno presso un’ospedale di Biella.

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