Dopo settimane di confinamento resta tuttora un’incognita fondamentale: quante sono attualmente le persone contagiate dal virus che, una volta libere di muoversi, potranno contagiare altre persone? Le stime per l’Italia variano moltissimo: chi dice un milione, chi dice cinque, chi dice dieci o più. Questa incertezza è un problema, perché rende molto difficile quantificare i rischi cui andremo incontro rilassando le restrizioni.

Avere una stima realmente attendibile del numero di positivi (e contagiosi) attuali non solo permetterebbe alla popolazione di rendersi finalmente conto delle effettive dimensioni del problema, ma è indispensabile per calibrare al meglio tempi e modi della riapertura.

E’ per questo motivo che il 17 aprile il Governo ha annunciato l’avvio delle procedure per un’indagine campione sulla diffusione del virus. Il progetto prevede di testare 150mila persone selezionate a livello nazionale dall’Istat: grazie ai risultati di questi test sarà possibile stimare la percentuale di positivi nelle varie regioni e province italiane, e avremo finalmente dati solidi su cui basare le modalità di uscita dalle restrizioni.

L’iniziativa è quindi molto apprezzabile, ma c’è un notevole problema: il progetto prevede di testare il campione solo con un kit di tipo sierologico. Il test sierologico è un tipo di test che, a differenza del classico tampone, non rivela la presenza del virus, ma solo quella degli anticorpi prodotti dal sistema immunitario per combattere il virus. Secondo le linee guida del Centro europeo per la prevenzione e il controllo delle malattie (Ecdc), servono da 6 a 15 giorni dopo la comparsa dei sintomi della malattia affinché l’organismo produca questi anticorpi.

Quindi il test sierologico non è adatto per scoprire gli infetti attuali. Può servire a capire quante persone hanno contratto il virus in passato: un dato sicuramente utile, ma che non ci descrive la contagiosità attuale e purtroppo non può neanche assicurare “patenti di immunità”.

Oltretutto, questo tipo di test presenta noti problemi di falsi positivi e negativi. Il bando di gara del governo per l’acquisto dei test prevede tra i requisiti qualitativi “una sensibilità almeno del 90% e una specificità almeno del 95%”: che cosa significa?

La sensibilità è in pratica l’efficienza: se il test è sensibile al 90%, significa che su 100 persone positive agli anticorpi è in grado di individuarne 90, mentre le altre dieci non le rivela. Questi dieci sono “falsi negativi”, ovvero persone che stando ai risultati del test sono negative, ma in verità sono positive.

La specificità invece ci dice quante volte si prendono fischi per fiaschi, ovvero il test risulta positivo anche se la persona testata non ha mai contratto il virus. Una specificità del 95% significa che se faccio il test a 100 persone che non hanno mai avuto il Covid-19, cinque di esse risulteranno positive anche se non lo sono.

Questi “falsi positivi” sono un bel problema. Immaginatevi una regione nella quale solo una persona su cento abbia avuto il virus… facendo il test sierologico, concluderemo che le persone che hanno avuto il virus sono invece il 5%, cinque volte tanto! Insomma: il test sierologico non solo non rileva i contagiosi attuali, ma ha dei problemi di affidabilità e può sovrastimare anche di molto i casi reali.

Per fortuna però esiste un ottimo sistema per superare entrambe queste limitazioni, ed è quello di abbinare al test sierologico il classico test con il tampone. Il tampone individua il virus vero e proprio e quindi può dirci quante sono le persone che potranno trasmettere il contagio una volta allentate le restrizioni… ma non solo!

Testare simultaneamente un ampio campione con il sierologico e con il tampone ci permetterebbe infatti di avere un quadro molto più completo della situazione dell’epidemia, dandoci informazioni non solo sul passato, ma anche sul presente. La possibilità di incrociare i risultati dei due test sarebbe poi indubbiamente preziosa per la ricerca scientifica in campo epidemiologico, diagnostico, clinico, statistico… e inoltre il confronto tra i risultati del test con tampone e del test sierologico consentirebbe di ridurre sensibilmente il problema dei falsi positivi e negativi, sia del test sierologico sia del tampone!

Una volta messa su tutta l’organizzazione per fare il test a campione sarebbe quindi uno spreco non sfruttarla per fare anche il test con tampone, che richiederebbe uno sforzo aggiuntivo molto ridotto rispetto a quello iniziale. In Piemonte verranno fatti 12.000 di questi test sierologici. Molti sanno quanto sia critica oggi la situazione in questa regione, dove i contagi sono ancora in crescita lineare in controtendenza con il resto del paese: qui conoscere il numero di soggetti contagiosi è di importanza ancor più grande che in altre regioni più fortunate.

I 12.000 tamponi necessari per l’abbinamento non appaiono un problema insormontabile, se pensiamo che attualmente la regione è in grado di fare anche 6.000 tamponi al giorno, e che questo numero continua ad aumentare. E’ da questa ben motivata preoccupazione che nel mondo dell’università e della ricerca piemontese è stata concepita l’idea di una lettera aperta in cui si chiede alla Regione di cogliere l’occasione, e di abbinare il test con tampone al test sierologico già in programma.

La lettera in meno di due giorni ha raccolto oltre 300 firme dai tre atenei piemontesi e dalle sezioni degli enti di ricerca Inaf, Infn e Inrim, e ora è stata messa online per aprirla alla sottoscrizione di tutti. Ovviamente, è chiaro che anche nel resto d’Italia abbinare il tampone al test sierologico porterebbe grandi benefici: nel malaugurato caso in cui una regione non avesse il numero di tamponi sufficienti, potrebbe perlomeno abbinare il tampone ad una parte dei sierologici… come si dice? Piuttosto che niente, è meglio piuttosto!

La speranza ovviamente è che l’ottenimento del risultato in Piemonte possa servire da apripista affinché il governo stesso colga l’opportunità di abbinare i sierologici ai tamponi per tutto il campione nazionale, in modo da avere finalmente i dati omogenei e completi indispensabili non solo per comprendere la situazione attuale, ma per monitorarla nel tempo.

L’investimento aggiuntivo si ripagherà da solo: migliore sarà la conoscenza della situazione, più speditamente si potrà procedere alla riapertura scongiurando al tempo stesso una catastrofica riesplosione del contagio, che darebbe il colpo di grazia a tante diverse situazioni che sono ormai già sull’orlo del precipizio.

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