Televisione

Coronavirus, guarda che ti passa (il tempo). Ultras su Netflix è un gioia per gli occhi

Una rubrica saltuaria e spassionata mentre ci tocca allungare l'attesa di un "bye bye cinema". Nell’attesa qualche confetto, qualche cioccolatino, qualche boccone avvelenato, recuperato dalle piattaforme streaming, sgraffignato su qualche tv generalista, acquistato di terza mano da rigattieri del web

di Davide Turrini

Guarda che ti passa. Una rubrica saltuaria e spassionata mentre ci tocca allungare l’attesa di un “bye bye cinema”. Un saluto che è un arrivederci. Un “presto su grande schermo”. Nell’attesa qualche confetto, qualche cioccolatino, qualche boccone avvelenato, recuperato dalle piattaforme streaming, sgraffignato su qualche tv generalista, acquistato di terza mano da rigattieri del web

Da qualcosa dovevamo pur ricominciare. La panoramica a 360 gradi e il conseguente piano sequenza che apre Ultras, di Francesco Lettieri, sì proprio quello dei video di Liberato, è una gioia per gli occhi abituati oramai a piccoli schermi ristretti e schiacciati. Tre minuti e spiccioli, panoramica larga e in profondità di campo su un golfo partenopeo. Chiusura del movimento orizzontale esplorativo verso sinistra ed entrata in campo dal basso e di spalle del protagonista (Aniello Arena) su un motorino. Qui lo stacco vertigine, perché la macchina da presa fissa deve come scartare (ma non te ne accorgi) e seguire in movimento il percorso del protagonista (sempre di spalle) a fendere una folla di invitati sui generis fuori da una chiesetta sgarrupata.

L’uomo, con cucita una bandierina sudista sulla schiena di un giubbotto di jeans senza maniche, si intuisce essere un pezzo grosso di una tifoseria organizzata. Già perché il tizio chiamato dagli altri compagni di curva Sandro, appena dopo aver salutato tutti si infila dietro uno striscione da stadio con scritto “Apache” e partecipa ai cori che accompagnano l’uscita dalla chiesa degli sposi. Un attimo di stasi per la macchina da presa che si posiziona ora alle spalle dello sposo e di nuovo, una volta tornato in campo Sandro che abbraccia lo sposo e gli fa gli auguri, segue di nuovo il nostro protagonista che si riavvicina passo dopo passo alla sua moto. Fine del piano sequenza.

Overlapping del commento musicale – L’estate sta finendo dei Righeira – che va ad unire la sequenza successiva dei titoli di testa con immagini di repertorio piuttosto cruente della tifoseria del Napoli, e non solo, con tanto di palleggi di Maradona, razzi lanciati da una curva all’altra, bastonate tra ultras, e ancora schegge di fallimento del Napoli calcio e rinascita.

Ultras, disponibile da un paio di settimane su Netflix, ha momenti da apnea scorsesiana e dopotutto, anche se le sale cinematografiche sembrano già un lontano ricordo, meritava uno schermo bigger than life per poterle gustare al meglio. Sinuoso nell’idea generale che muove ogni inquadratura, credibile e verista nella riproposizione di un tema piuttosto desueto, curato con puntigliosa maniacalità in tanti estemporanei dettagli di vestiario e acconciatura dei dropout, Ultras è imbastito attorno alle vicende intrecciate di tre diverse generazioni di ultras da curva del Napoli: gli “Apache”, anziani diffidati che ogni domenica vanno a firmare in questura, figli del tifo anni ‘80-’90, mondo di codici esibiti che si salutano ancora con “augh”; gli NNN (No Name Naples) nuova agguerrita generazione di trentenni, autonoma e non proprio rispettosa della tradizione degli anziani; infine i ragazzetti neofiti pronti a diventare teppisti fuorilegge da stadio seguendo gli NNN.

Il corto circuito avviene in modo casuale con il gruppo dei piccoli che commette un madornale errore nel preparare materiale per la curva rinfocolando il malumore tra NNN e Apaches fino ad una resa dei conti sanguinosa. Al centro del racconto Sandro ‘o mohicano (Arena), leader degli Apache, che sembra però oramai più attento al rapporto sentimentale con Terry (Antonia Truppo) che alle scorribande dei suoi. A Sandro viene anche chiesto da un’amica di stare attento a ciò che combina suo figlio minorenne Angelo (Ciro Nacca) che con un gruppo di amici si sta inserendo come neofita negli NNN. Lettieri cancella ogni possibile effetto cartolinesco da marginalismo sociale, attutisce e smorza alla Garrone ogni slancio emotivamente caldo favorendo ombre e oscurità per i suoi protagonisti, struttura il racconto tendendolo come un arco verso l’apice del tragico senza disdegnare il tratteggio di un rapporto amoroso ruvido e carnale.

Niente stadi (se non alcuni spalti per traverso all’inizio del film), niente partite e campi di calcio, ma solo un universo spaziotemporale sospeso, vagamente astratto, irradiato di violenza, un luogo periferico continuamente rimodulato (un porto, un parcheggio, una palestra) in modalità consona e gestibile per evocare scontri di massa senza avere a disposizione forze e comparse per un assembramento da kolossal. Lettieri (regia e script assieme a Peppe Fiore – The Young Pope) aggiorna il capitolo tifo organizzato dopo il frusto Ultrà di Ricky Tognazzi, posizionandosi più sulla falsariga di un film british un po’ teste rasate pop alla Shane Meadows. Il risultato è un film composto, maturo, a suo modo ribelle. Arena (Reality) è da sempre un demone sornione e inquietante. La Truppo ha una fisicità terribilmente ruvida e normalizzante. I veri ultras napoletani non hanno gradito per nulla riempiendo i muri del centro storico di Napoli con scritte contro Lettieri, Liberato e semplificando il loro fastidio: “Il film ci fa schifo”.

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