“Ringrazio tutti. A tutti chiedo perdono”. Così, esattamente 15 anni fa, San Giovanni Paolo II si congedava dal mondo. Il Papa che aveva chiesto più volte mea culpa per i tanti, troppi peccati commessi dalla Chiesa cattolica nel corso dei secoli, lasciava la terra chiedendo perdono per l’ultima volta nel suo testamento.

La pandemia di coronavirus non ha permesso che si potessero svolgere a Roma le celebrazioni in programma per i cento anni dalla nascita di Karol Wojtyla. In primis la grande messa che Papa Francesco avrebbe dovuto presiedere in piazza San Pietro, domenica 17 maggio, vigilia del compleanno del suo predecessore. Ma ciò nonostante il ricordo dei fedeli in tutto il mondo, soprattutto in Italia e in Polonia, è abbastanza intenso e viaggia anche grazie ai social.

Bergoglio lo ha voluto ricordare attraverso un libro scritto a quattro mani con don Luigi Maria Epicoco e intitolato San Giovanni Paolo Magno (San Paolo). Per il Papa, infatti, Wojtyla “è stato un grande! Io ricordo una volta qui a Roma, era sabato, e si pregava il rosario. Ho partecipato al rosario, rimanendo edificato nel vedere quest’uomo in ginocchio a pregare la Madonna, con una devozione e un’intensità che mi ha fatto tanto bene al cuore. Per questo, ho voluto fare anch’io delle dichiarazioni al processo di canonizzazione e, proprio in quella circostanza, ho sottolineato la profonda devozione alla Madonna, la profonda testimonianza di preghiera, di tenerezza, di normalità. Non dobbiamo dimenticare che quest’uomo, finché ha potuto, non ha smesso di praticare lo sport, di nuotare, di sciare. Si racconta che una volta andando a sciare di nascosto, un bambino lo ha riconosciuto e ha gridato: il Papaaaa. Ma questo non lo ha scoraggiato a tornare più e più volte”.

“Penso – ha aggiunto Francesco – che la grandezza di quest’uomo sia nascosta nella sua normalità. Ci ha mostrato che il cristianesimo abita la normalità di una persona che vive in una comunione profonda con Cristo. Per questo ogni suo gesto, ogni sua parola, ogni sua scelta hanno sempre un valore molto più profondo e lasciano il segno”. Per Bergoglio “Giovanni Paolo II è stato un uomo libero, fino alla fine e, anche nell’immensa debolezza che ha vissuto, sono certo che ha sempre mantenuto una grande lucidità e una grande consapevolezza di quello che stesse vivendo la Chiesa. Forse alcune situazioni di difficoltà ne hanno aumentato il dolore, ma sono certo che egli è stato Papa fino all’ultimo respiro della sua vita, senza tentennamenti. La sua è stata una testimonianza straordinaria, fino alla croce. Era quello che il Signore domandava in quel momento specifico a lui”.

Un Papa umanissimo, che da giovane aveva conosciuto molto presto la sofferenza con la morte della mamma a nove anni. Un uomo che amava calcare il palcoscenico e cantare. Un grande sportivo che sapeva non solo sciare, come ricorda Bergoglio, ma anche nuotare e andare in canoa. E perfino scrivere lettere intense alle sue amiche, anche da Papa, senza però minare minimamente il celibato sacerdotale.

Se Wojtyla è stato sicuramente un Pontefice straordinario, anche per la lunghezza del suo regno, quasi 27 anni, egli è stato un uomo normalissimo. Un vescovo di Roma che ha saputo interpretare perfettamente il suo ruolo nel passaggio tra il secondo e il terzo millennio cristiano, ma prima ancora nello storico crollo del comunismo al quale lui stesso ha contribuito in modo decisivo.

Eppure a volte si ricorda San Giovanni Paolo II come un Papa superstar, o perfino popstar, una vera e propria celebrità del sacro dimenticando la profondità del suo magistero tutto imperniato ovviamente sui dettami evangelici. Si cita spesso che furono ben due milioni i giovani di tutto il mondo presenti alla storica Giornata mondiale della gioventù del 2000, a Tor Vergata, durante il Grande Giubileo.

Ma si dimentica il grande mandato missionario che Wojtyla affidò a quella generazione: “Nel corso del secolo che muore, giovani come voi venivano convocati in adunate oceaniche per imparare ad odiare, venivano mandati a combattere gli uni contro gli altri. I diversi messianismi secolarizzati, che hanno tentato di sostituire la speranza cristiana, si sono poi rivelati veri e propri inferni. Oggi siete qui convenuti per affermare che nel nuovo secolo voi non vi presterete ad essere strumenti di violenza e distruzione; difenderete la pace, pagando anche di persona se necessario. Voi non vi rassegnerete ad un mondo in cui altri esseri umani muoiono di fame, restano analfabeti, mancano di lavoro. Voi difenderete la vita in ogni momento del suo sviluppo terreno, vi sforzerete con ogni vostra energia di rendere questa terra sempre più abitabile per tutti”.

Eloquente è ciò che ha scritto il cardinale Michele Giordano, che da San Giovanni Paolo II ricevette la berretta rossa: “Che santità, continuo a chiedermi, è stata quella di Papa Wojtyla? Forse la santità delle cose eccezionali? Del giovanile dinamismo dei primi tempi? Dei grandi viaggi? Delle tante lingue parlate? Delle folle innumerevoli? Dei grandi raduni? Della sofferenza degli ultimi anni? No, Giovanni Paolo II ha manifestato una santità ‘feriale’, cioè quotidiana. Fatta senz’altro di grandi eventi, ma alimentata da una costante ricerca di Dio da servire nell’uomo”.

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