L’impatto del coronavirus si fa sentire sulle attività economiche e, per la prima volta, anche sui listini cinesi. Le 24 province che rappresentano l’80% del pil e il 90% delle esportazioni del Paese, come Shanghai, Chongqing e il Guandong, hanno rinviato la ripresa delle attività economiche e produttive a non prima del 10 febbraio per i timori di contagio. E le Borse del Dragone, tornate agli scambi dopo il lungo Capodanno lunare, sono affondate: l’indice composito di Shanghai è crollato del 7,72%, quello di Shenzhen ha segnato un tonfo dell’8,41%. È stata la seduta peggiore dal 2015. I mercati europei in compenso, dopo i cali della scorsa settimana, hanno aperto in cauto rialzo. Nel frattempo la Banca centrale cinese ha iniziato a mettere in campo le misure a sostegno della liquidità dei mercati e di supporto all’economia annunciate nel fine settimana.

Il virus impatta sulle consegne di smartphone, che secondo alcune stime sono calate del 50-60% durante le feste di Capodanno. Inoltre, Apple ha chiuso tutti i negozi e gli uffici in Cina fino al 9 febbraio e secondo l’analista Ming-Chi Kuo l’epidemia influirà sulle forniture di iPhone nel primo trimestre, previste in calo del 10% rispetto alle stime precedenti. Intanto per il settore automobilistico continuano i problemi: Renault ha annunciato che prolungherà lo stop della produzione nella sua fabbrica di Wuhan fino al 13 febbraio. Lo stabilimento impiega circa 2mila persone e avrebbe dovuto riaprire il 10 febbraio. Hanno adottato misure simili anche le altre case automobilistiche che hanno impianti nella zona di Wuhan, tra cui il Gruppo Psa. Ma soffrono anche i trasporti, con un calo di quasi il 30% del traffico passeggeri. Dal 10 gennaio al 2 febbraio, i primi 24 giorni del Festival di Primavera, gli spostamenti sono stati il 27,5% in meno rispetto all’anno scorso.

Tracollo, poi, per il traffico aereo: nella sola giornata di domenica la flessione è stata dell’86,3% su base annua. Tra calo della produzione e riduzione degli spostamenti, la domanda di petrolio da parte del Paese è diminuita secondo Bloomberg di circa tre milioni di barili al giorno, pari al 20% del consumo totale. È il più grave choc che la domanda ha subito dai tempi della crisi finanziaria del 2008 e il più improvviso dall’attacco alle Torri Gemelle. “I prezzi del petrolio sono stati sotto pressione dall’inizio dell’epidemia – ricorda Fitch – con il greggio Brent che è sceso da poco meno di 70 dollari al barile all’inizio di gennaio a circa 56 dollari al barile all’inizio di febbraio”. La Cina “rappresenta circa il 15% del consumo mondiale di petrolio ed è il principale motore della crescita della domanda globale. Il suo contributo alla crescita del consumo globale è stato in media del 36% negli ultimi cinque anni e avrebbe dovuto essere vicino al 40% nel 2020, secondo la Us Energy Information Administration (Eia)”. Se “l’epidemia di coronavirus si deteriora, l’eccesso di offerta potrebbe diventare più significativo, portando potenzialmente a una maggiore pressione a breve termine sui prezzi del petrolio”.

Nella seconda economia del mondo rischia di bloccarsi anche il mercato del lavoro. I 288 milioni di lavoratori migranti cinesi, che rappresentano più di un terzo della forza lavoro totale, sono in un limbo. Una buona parte di loro proviene proprio dalla parte centrale della Cina, che include la provincia dell’Hubei, ora isolata, da dove è partita l’epidemia. E dove non si tornerà a lavoro prima del 14 febbraio, anche se potrebbe essere richiesta una “appropriata estensione” del periodo di ferie, ha scritto venerdì il Quotidiano del Popolo. Spostarsi fra le varie zone del Paese è sempre più difficile: anche fuori dalla regione di Wuhan le autorità locali hanno sospeso alcuni trasporti in autobus a lungo raggio e hanno imposto posti di blocco sulle strade. Alcune imprese, sentite dal Financial Times, hanno avvertito che questo provocherà una carenza di manodopera che potrebbe ripercuotersi sulla produzione.

Per sostenere la liquidità, la Banca centrale cinese ha iniettato 1.200 miliardi di yuan attraverso repo (pronti contro termine) a 7 e 14 giorni, con un effetto netto di 150 miliardi, pari a 19,3 miliardi di euro. È la più grande operazione di mercato aperto realizzata in un solo giorno dal 2004. Il tasso per entrambi i repo è stato tagliato di 10 punti base per entrambi. I pronti contro termine a tassi più bassi servono ad “assicurare ampia liquidità durante questo periodo speciale di contenimento del virus”, ha comunicato la Banca, che continuerà a “monitorare da vicino” la liquidità sui mercati.

Il Financial Times e Bloomberg affermano che l’autorità regolatrice del mercato finanziario cinese ha comunicato a broker e fondi comuni d’investimento di limitare le vendite di azioni: la soglia netta giornaliera per la vendita delle azioni di società ad alta capitalizzazione è di 100 milioni di yuan, mentre è di 10 milioni di yuan per quelle delle società a bassa capitalizzazione. Inoltre sono state sospese da lunedì fino a data da destinarsi le sessioni notturne di scambio di futures, un tipo standardizzato di contratto a termine frequentemente utilizzato nei mercati finanziari. Sabato la Banca centrale ha esortato le banche ad aumentare i prestiti all’intera economia e ha annunciato che darà alle istituzioni finanziarie in operazioni di rifinanziamento 300 miliardi di yuan (circa 39 miliardi di euro) per aiutarle a erogare credito ad alcune società particolarmente colpite dall’epidemia. Inoltre, alle banche è stato detto di non ritirare i prestiti dalle aziende colpite dal virus, anzi di rinnovare quelli esistenti o di tagliare i tassi.

La Cina nel frattempo è stata costretta a chiedere agli altri Paesi forniture di emergenza di camici protettivi e mascherine, nonostante ne sia il maggior produttore al mondo, con una quota del mercato globale pari al 50%.

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