Ad appena 48 ore dalla Conferenza di Berlino che metterà intorno al tavolo i principali attori libici e internazionali coinvolti nel conflitto nel Paese, non si placano scontri e accuse tra i sostenitori delle fazioni in campo. A scatenare la reazione del governo tedesco è stato l’annuncio, sabato, del presidente turco, Recep Tayyip Erdoğan, riguardo all’invio di altri militari a sostegno del Governo di Accordo Nazionale di Fayez al-Sarraj, riconosciuto dalle Nazioni Unite. “L’invio di armi e militari in Libia viola l’embargo delle Nazioni Unite”, ha dichiarato il portavoce del Ministero degli Esteri di Berlino, in riferimento alle strategie messe in campo anche dopo l’ultimo cessate il fuoco dalla Turchia, da una parte, e dagli Emirati Arabi, dall’altra.

Posizione, quella dell’esecutivo tedesco, sposata anche dagli Stati Uniti che, dopo aver ufficializzato la partecipazione alla conferenza del segretario di Stato, Mike Pompeo, ha fatto sapere di non volere “che il conflitto si allarghi più di quanto già non lo sia. Questa è una situazione in cui interventi esterni possono solo esacerbare la crisi umanitaria nel paese”.

E anche l’Egitto, attraverso il suo ministro degli Esteri, Sameh Shoukry, parla della decisione di Ankara come di “un rischio che ha un impatto negativo sulla conferenza di Berlino e sulla situazione interna in Libia”.

Da parte sua, Erdoğan ha buttato benzina sul fuoco libico, tornando ad attaccare il principale avversario di Sarraj, il generale della Cirenaica Khalifa Haftar, sostenuto da Russia, Emirati ed Egitto, dicendo che “non è un uomo affidabile. Ha continuato anche ieri a bombardare Tripoli” nonostante la tregua.

Come successo nel corso degli ultimi colloqui di Mosca, al termine dei quali doveva essere firmato un accordo di pace tra Sarraj e Haftar, il ministro degli Esteri russo, Sergej Lavrov, dopo aver confermato la presenza di Vladimir Putin a Berlino, ha anticipato che “le relazioni” tra i due “sono tese. Non vogliono trovarsi insieme nella stessa stanza, non parliamo di dialogare”.

Germania: “Berlino non risolverà tutti i problemi, è solo primo passo”
Il portavoce del governo tedesco, Steffen Seibert, non ha voluto creare eccessive aspettative riguardo al meeting a cui parteciperanno Stati Uniti, Russia, Italia, Gran Bretagna, Francia, Cina, Emirati Arabi Uniti, Turchia, Egitto, Algeria, Repubblica del Congo (in quanto presidente del Comitato di Alto livello dell’Unione Africana sulla Libia) e poi Nazioni Unite, Unione Europea, Unione Africana e Lega Araba: “Non si possono risolvere tutti i problemi con una conferenza – ha dichiarato – Si tratta dell’inizio di un processo politico, che avviene sotto l’egida delle Nazioni Unite”.

L’Unione europea, dal canto suo, fa sapere che la proposta lanciata dal ministro degli esteri italiano, Luigi Di Maio, su una missione Ue in Libia è ancora prematura e che verrà presa di nuovo in considerazione dopo la Conferenza di Berlino: “Per come stanno le cose, ci sono ancora troppe incertezze per dire dove andiamo e per saltare in una direzione o in un’altra. È ancora poco chiaro” quale sarà il risultato dell’incontro nella capitale tedesca, chi ci sarà e con quale atteggiamento, rivelano fonti di Bruxelles.

Il Consiglio dei ministri degli Esteri dell’Ue, che si riunisce lunedì nella capitale belga, sarà l’occasione per una prima valutazione del risultato del vertice, sulla base degli aggiornamenti dell’Alto rappresentante per la Politica Estera, Josep Borrell, e del ministro degli Esteri tedesco, Heiko Maas. In quella sede potranno essere fatte “alcune prime valutazioni”, spiegano le stesse fonti. Ma di sicuro poi occorrerà una valutazione molto più approfondita, probabilmente al Consiglio Esteri di febbraio.

Grecia: “Ci opporremo se non salta accordo Tripoli-Ankara”. Berlino: “Vostra presenza non contemplata”
Il governo greco, che ieri ha protestato per il mancato invito alla conferenza sulla Libia, ha fatto sapere oggi tramite il primo ministro, Kiriakos Mitsotakis, che si opporrà a qualsiasi documento emergerà dall’incontro se prima non verrà annullato l’accordo raggiunto tra il governo di Tripoli e le autorità di Ankara sui confini marittimi. Il premier, che venerdì incontrerà Khalifa Haftar ad Atene, ha spiegato di aver scritto alla cancelliera tedesca, Angela Merkel, chiedendo di spiegare le motivazioni per cui la Grecia non è stata invitata. La Turchia, ha proseguito, “è isolata” e sta agendo in modo ”provocatorio”, mentre la Grecia mantiene “alleanze forti a livello internazionale”.

La risposta alle domande del premier Mitsotakis sono arrivate sempre da Seibert: “Una partecipazione della Grecia alla Conferenza sulla Libia domenica, a Berlino, non è mai stata in discussione”, ha dichiarato.

Haftar a Putin: “Amico, sono disposto a discutere la pace”
Il generale Khalifa Haftar ha intanto scritto una lettera al suo più importante alleato, il presidente russo, dopo il rifiuto di firmare l’accordo di pace invocato, tra gli altri, anche da Mosca e aver inizialmente rifiutato di aderire al cessate il fuoco richiesto proprio da Putin ed Erdogan. Nel testo, l’uomo forte della Cirenaica definisce il presidente suo “caro amico” e lo ringrazia per “gli sforzi” della Russia per la pace, dicendosi pronto a tornare in Russia per continuare a discutere di una soluzione pacifica al conflitto in Libia.

Lavrov, invece, ha annunciato che prima dell’incontro di Berlino, previsto per le 14 di domenica, lui e Luigi Di Maio terranno un incontro bilaterale.

Unhcr: “Migranti nei centri reclutati per combattere nel conflitto libico”
L’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) denuncia intanto il reclutamento da parte delle varie fazioni impegnate sul fronte militare libico dei migranti rinchiusi nei centri di detenzione nel Paese: “Abbiamo le prove, da parte di persone che si trovano nei centri di detenzione, che è stata offerta loro la proposta di restare lì per un periodo indefinito oppure di combattere al fronte”, ha dichiarato il rappresentante speciale dell’Unhcr per il Mediterraneo centrale, Vincent Cochetel, sentito dalla Dpa.

Al momento, Cochetel dice di non essere in grado di dire quanti migranti abbiano accettato l’offerta: “Se decidono di farlo, viene data loro un’uniforme, un fucile e vengono immediatamente portati nel mezzo della guerriglia urbana”, ha spiegato. “Abbiamo visto che questi tentativi di reclutamento riguardano prevalentemente i sudanesi – ha proseguito Cochetel – Riteniamo questa scelta motivata dal fatto che parlano arabo. Entrambe le parti sono coinvolte”.

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