di Diego Battistessa *

In Venezuela il 2020 è iniziato letteralmente “col botto”. L’attacco portato a termine dalle forze statunitensi all’aeroporto di Baghdad venerdì 3 gennaio, nel quale è stato ucciso Qassem Soleimani, capo dell’unità speciale Al Quds dei Guardiani della rivoluzione, avrà delle conseguenze importanti anche in Venezuela.

Non è un mistero infatti che tra il paese della rivoluzione bolivariana e l’Iran esista una forte alleanza fin dai tempi di Hugo Chavez e Mahmoud Ahmadinejad. Il volo VO-3006 della compagnia aerea venezuelana Conviasa con rotta Caracas-Damasco-Teheran fu inaugurato a marzo del 2007 e operativo fino al 2010. Nonostante fosse una rotta poco transitata e che generava ingenti perdite per le casse statali venezuelane, fu mantenuta per tre anni.

Il volo fu soprannominato dai detrattori della rivoluzione chavista come “aeroterror” per i sospetti che fosse un cavallo di Troia per il traffico illecito di droga e denaro: la droga da consegnare a Hezbollah a Damasco e il denaro sporco sarebbe poi arrivato a Caracas da Teheran. L’impossibilità di poter comprare dei biglietti per il suddetto volo (solo un numero molto ristretto di persone con permesso governativo potevano salire a bordo) e l’alone di segretezza che lo circondava hanno portato anche a ipotizzare che sull’aereo modello A340 di Airbus venisse trafficato dell’uranio.

Di questo metallo sono state scoperte ingenti riserve proprio in Venezuela, precisamente nel Massiccio della Guiana. La spasmodica ricerca di uranio da parte dell’Iran ha portato il governo di Teheran ad una alleanza sempre più stretta con il chavismo, soprattutto dopo la brusca interruzione dei rapporti con l’Argentina avvenuta a seguito dell’attentato alla compagnia assicurativa ebrea Amia a Buenos Aires nel 1994.

Il filo atomico che univa l’Argentina all’Iran rimonta al periodo della presidenza peronista di Héctor Cámpora (1973) quando quest’ultimo espulse sette scienziati nucleari per le loro idee politiche. I sette vennero accolti dallo Sha Mohammad Reza Pahlavi, proprio mentre veniva creata l’agenzia atomica iraniana. Successivamente Iran e Argentina mantennero contatti per la compravendita di tecnologia nucleare ma questo interscambio, come detto, si interruppe all’inizio degli anni ’90 (anche se esistono speculazioni di una successiva vendita di tecnologia nucleare sotto la presidenza di Cristina Kirchner con il governo di Hugo Chavez come intermediario).

L’America Latina dunque, e nello specifico l’Argentina prima e il Venezuela poi, ha rappresentato una valvola di sfogo contro le sanzioni imposte all’Iran dall’Onu a causa del suo programma nucleare. La rivoluzione bolivariana ha aperto le porte al progetto di Teheran e con il beneplacito di Hugo Chavez diverse imprese iraniane hanno iniziato a operare in zone strategiche per l’estrazione mineraria in Venezuela (delta del fiume Orinoco) nel primo decennio degli anni 2000.

La mancanza di trasparenza nelle operazioni di imprese come la fabbrica di cemento Cerro Azul, l’azienda statale iraniana Impasco e “Venirán Tractor CA” (quest’ultima integrata dalla corporazione statale venezuelana della Guyana – Cvg e dalla Iran Tractor Manufacturing – Itmco) e la costante presenza della guardia bolivariana a presidio degli impianti hanno moltiplicato i sospetti che si trattasse di una copertura per l’estrazione e vendita di uranio.

Di fatto, il 23 di dicembre del 2006, il consiglio di Sicurezza dell’Onu approvò la risoluzione 1737, imponendo sanzioni economiche all’Iran per il sospetto sul fine reale delle sue attività nucleari. Il 22 gennaio 2007 con la risoluzione 1747 la Onu aggravò le sanzioni come rappresaglia per la negativa di Ahmadinejad all’apertura degli impianti nucleari per la visita degli ispettori dell’Agenzia internazionale per l’energia atomica. Nel 2010, nonostante le restrizioni, l’Iran annunciò che aveva raggiunto l’autosufficienza per la produzione di polvere di uranio e nel 2011 venne annunciata l’apertura dell’impianto di Busher che si sommava a quello già esistente di Nanatz. L’Iran, con l’aiuto del Venezuela (e dell’Argentina) aveva dunque raggiunto il suo obiettivo: possedeva ora una quantità sufficiente di uranio arricchito per costruire un ordigno nucleare.

Hasan Rouhani vinse le elezioni presidenziali in Iran e da giugno 2013 sostituì Ahmadinejad alla guida del paese: nello stesso anno, il 5 marzo moriva per un tumore Hugo Chavez. Fine di una storica alleanza? Non proprio, visto che Rouhani e Nicolas Maduro hanno mantenuto stretti contatti e hanno fatto fronte comune contro le sanzioni imposte loro dagli Stati Uniti, specialmente dall’amministrazione Trump. L’Iran dunque potrebbe trovare un forte alleato nel Venezuela di Maduro e l’America Latina potrebbe essere uno dei terreni di scontro per i nuovi venti di guerra di questi primi giorni del 2020.

* Docente e ricercatore dell’Istituto di studi Internazionali ed europei “Francisco de Vitoria” – Università Carlos III di Madrid. Latinoamericanista specializzato in Cooperazione Internazionale, Diritti Umani e Migrazioni

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