Testo e foto di Isabella Pratesi*

Abbiamo viaggiato per migliaia di chilometri nella speranza di immergerci in una natura selvaggia, più lontana possibile dall’impatto dell’uomo. Ma siamo atterrati in piena crisi climatica: l’Australia prima ancora di altri paesi è alle prese con le conseguenze del global warming

Prima tappa – Melbourne

Siamo atterrati a Melbourne sulla costa Meridionale dell’Australia. Fortunatamente ci troviamo a 200 chilometri più a Ovest dei grandi incendi di Sidney. Siamo in piena estate e il caldo è intenso e asciutto. Anche lontani dal dramma dei fuochi, si percepisce l’enorme rischio degli incendi.

Sono anni che questo grandissimo paese deve fare i conti con devastanti siccità e temperature in impennata. Chiunque si metta in viaggio deve aggiornarsi sul rischio incendi e sulla percorribilità delle strade. Lo facciamo anche noi utilizzando internet… ma chi non è connesso è più a rischio di ritrovarsi all’improvviso sul fronte del fuoco.

Eppure non c’è un gesto, un’azione, un richiamo che solleciti dei comportamenti più climate friendly. Siamo nel pieno di un’economia energivora: aria condizionata gelida, enormi suv e consumi insostenibili caratterizzano la vita degli australiani. Chi ci circonda non sembra porsi molte domande e la vita continua con il business as usual in un territorio in fiamme. Cos’altro deve succedere perché qualcosa cambi?

D’altronde siamo in un paese dove il primo ministro dice di non poter mettere a rischio l’economia australiana per le politiche sul clima. Non dobbiamo dimenticarci che l’Australia è un’economia basata sul carbone, il peggior nemico del clima: sono il secondo paese al mondo per emissioni di CO2.

Seconda tappa – le foreste pluviali

Ci spostiamo verso Sud-Ovest per visitare le grandi ultime foreste pluviali australiane, nel Great Otway National Park. Sono foreste con una grandissima varietà di eucalipti – alcuni giganteschi – circondati da felci arboree e fioriture straordinarie. Uno scenario primordiale dove sembrano mancare solo i dinosauri. Sono gli ultimi brandelli delle grandi foreste pluviali che coprivano questo versante dell’Australia.

Nel parco vediamo i koala. Li scopriamo per puro caso completamente mimetizzati nella canopy (la volta della foresta) argentata degli eucalipti. Dobbiamo osservarli con il binocolo per quanto si trovano in alto. Sono animali straordinari e incredibilmente vulnerabili; sono indissolubilmente legali ai loro alberi e nel caso di incendi ne seguono il drammatico destino. Chi li studia sa che la loro morbidissima pelliccia profuma profondamente di eucalipto.

Li guardiamo con tristezza. Si pensa che negli incendi di queste settimane sia scomparso un terzo della principale popolazione di koala. Anche i koala soffrono drammaticamente la siccità: le foglie degli eucalipti perdono il loro normale contenuto di acqua e i piccoli marsupiali si disidratano, debilitandosi.

Terza tappa – il volo verso la Tasmania

Ritorniamo all’aeroporto di Melbourne, in un clima sempre più torrido. In 12 ore la temperatura è passata da 22 gradi a 35. Negli edifici l’aria condizionata è a palla. Il vento è girato da Nord facendo salire vertiginosamente il rischio di incendi. Prendiamo il nostro volo diretto ad Hobart in una tempesta di vento. Mi chiedo se le linee aeree si stiano preparando a eventi climatici sempre più intensi.

L’aereo ha bisogno di due tentativi per atterrare su una pista spazzata dalle folate. All’apertura dei portelli (per quanto felici di essere di nuovo a terra) la sorpresa: in un’isola – la Tasmania – che dovrebbe avere temperature scozzesi, il termometro segna 43 gradi. La più alta temperatura mai registrata ad Hobart. Ahimè Anche la Tasmania è in prima linea sul fronte dei cambiamenti climatici.

Secondo l’ultimo rapporto dell’Ipbes, il 75% degli ecosistemi terrestri è stato impattato dall’uomo. La mia speranza qui in Tasmania è quella di godere degli ultimi territori selvaggi del pianeta. La bellezza dei paesaggi è struggente e le smisurate foreste che si tuffano nell’oceano, le spiagge infinite e bianchissime, i fiumi, gli estuari, le cascate, i fiordi, i graniti ricoperti di licheni fiammanti, rappresentano al meglio quel che rimane della wilderness terrestre.

Siamo lontani dall’Australia, abbracciati dall’oceano e rivolti verso l’Antartide. Speriamo di esserci lasciati alle spalle il dramma degli incendi. D’altronde siamo a più di 400km dalle coste Australiane, in pieno oceano.

Quarta tappa – il fumo avvolge la Tasmania

Ci svegliamo nel nostro terzo giorno in Tasmania in un cielo plumbeo. La gola brucia e l’odore di incendio è nei polmoni. La temperatura è tornata a essere rovente. Nel paesino dove ci troviamo – St Helens – le persone cercano riparo nei locali e camminano per strada con fazzoletti davanti la bocca. La visibilità è scarsissima. Le persone a cui chiediamo l’origine di tutto il fumo ci rispondono che devono esserci incendi molto vicini.

La mia impressione è diversa. Dopo aver seguito a lungo gli incendi in Amazzonia, so che quando brucia una grandissima estensione di foreste: proprio come sta accadendo in Australia, il fumo può arrivare lontanissimo, portato dalle correnti di alta quota. La sera navigando su internet ho la conferma dei miei timori: gran parte della remota Tasmania è avvolta dal fumo degli incendi della costa orientale dell’Australia. La portata della devastazione è enorme e il vento ne porta la testimonianza fino in Nuova Zelanda.

Stanno bruciando in Australia le ultime foreste naturali di eucalipti. Le fiamme divorano koala, opossum, canguri grandi e piccoli, wallaby, wombat, ornitorinchi, echidna. La straordinaria biodiversità australiana che mi ha spinto a venire fino a qua. Anche il parco nazionale che abbiamo visitato pochi giorni fa è stato chiuso per l’altissimo rischio roghi.

In tutto il pianeta gli incendi provocati e facilitati dall’uomo stanno distruggendo quegli ultimi spazi selvaggi da cui dipende la vita di tutti noi. Si può donare e contribuire così all’azione Wwf in Australia: http://bit.ly/DonaperilKoala

*Direttore conservazione Wwf Italia

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