Premetto che ho ricevuto un’educazione cattolica e ritengo molto attuale il titolo del libro di Benedetto Croce del 1942 Perché non possiamo non dirci cristiani. La decisione del Papa, presa nei giorni scorsi, di chiedere scusa e perdono per il gesto di umana intemperanza e stizza verso una persona che lo strattonava mi pare degna di grande attenzione.

Viviamo in un mondo dell’informazione nel quale l’ammissione di errore e il chiedere scusa sono preclusi. I leader non lo fanno mai, se non con artifici retorici per poi affermare, in sostanza, di avere ragione. Ve lo immaginate Trump che chiede scusa per aver promesso che il muro fra Usa e Messico sarebbe stato costruito a spese dei messicani? O, per venire a casa nostra, avete mai sentito i politici più conosciuti ammettere di aver fatto uno sbaglio?

In realtà per ognuno di noi l’errore è dietro l’angolo, non tanto e non solo perché non siamo perfetti, ma perché la natura ci ha voluto così. Il nostro cervello risulta, secondo la teoria ormai accettata di Paul McLean, stratificato in tre zone che si sovrappongono, presentando una parte istintiva del tronco encefalico (un cervello simile a quello dei rettili), una affettiva del sistema limbico (cervello di mammifero) e una cognitiva con la neocorteccia (cervello umano). Questi tre cervelli collaborano fra loro ma, in certi momenti, una componente può prendere il sopravvento sull’altra, determinando delle reazioni che fanno parte dell’istinto di conservazione o dell’emotività. Il signor Spock della serie televisiva Star Trek non capiva le reazioni umane e, lavorando solo con la componente cognitiva di cui era ampiamente dotato, non comprendeva una serie di sfumature affettive e le reazioni istintive degli uomini.

Possedere un’emotività e un’istintività è una ricchezza che, a mio avviso, ci rende migliori e più duttili nell’affrontare la vita. Educare le nuove generazioni all’idea che essere fragili, sbagliare, provare emozioni, sentirsi sopraffatti è umano e bello sarebbe essenziale. Sarebbe altrettanto importante educare i giovani a manifestare la capacità (rarissima) di chiedere scusa. Il dramma educativo, con funeste conseguenze, è quello imperniato sulla negazione della complessità, del conflitto fra varie componenti della nostra personalità: alcune coscienti, altre nascoste e definite inconsce dalla psicoanalisi.

Mi è capitato di parlare in scuole frequentate da ragazzi diversamente abili. Quello che ho sottolineato è che per un ragazzo normodotato avere al fianco una persona che vive ed è relativamente serena e gioiosa, pur essendo affetta da una disabilità, è una grande ricchezza. Si impara a capire che non solo coloro che vincono sempre saranno felici e ad accettare le nostre fragilità.

Imparare a scusarci, quando sbagliamo e siamo fragili, esprimendo il nostro rammarico è un altro elemento di grande importanza per costruire la possibilità di una nostra felicità. Per essere felici, o comunque provarci, occorre accettare se stessi, amarci non solo per le doti di cui siamo portatori ma anche per le nostre debolezze. Chi, al contrario, accetta se stesso solo quando è perfetto e vincente, corre seri rischi di provare una grande sofferenza quando incontrerà, immancabilmente, durante il percorso della propria vita, i difetti e gli errori che caratterizzano ogni essere umano.

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