3) Russian Doll (Netflix)
“Cotidie morimur” l’ha detto Seneca per primo, l’ha fatto letteralmente Nadia Vulvokov un paio di millenni dopo, anche se solo nella finzione scenica, e trincerandosi dietro a un più prosaico “The universe is trying to fuck with me! And I refuse to engage!”. La protagonista di Russian Doll, infatti, muore ogni giorno in modi cruenti e spesso tragicomici, in una New York sospesa in un circolo temporale vizioso e autoriferito. Per spezzare il loop prima di fare la sua ennesima finaccia quotidiana, Nadia è costretta a scendere a patti col suo passato per esorcizzarlo, ma è solo riconoscendo il proprio dolore in quello altrui che potrà riuscire nel suo intento.
La serie scritta da Natasha Lyonne, Leslye Headland e Amy Poehler, e interpretata magistralmente dalla stessa Lyonne, è un pamphlet in otto episodi da 25 minuti che mette alla berlina la nevrosi occidentale di fine secolo, ormai talmente ripiegata su sé stessa da rasentare l’animismo. Memorabile la parata rituale e totemica dell’episodio finale, pregevole citazione felliniana (per chi, come chi vi scrive, sceglie di coglierla come tale) di un inconscio che riesce a mettere pace creativa tra tutte le sue parti.