di Diego Battistessa

Haiti, ancora Haiti. Un luogo destinato, sembrerebbe, all’universale indifferenza, un lembo di terra dove, parafrasando Leon Gieco, Dios no alcanzó a llorar.

L’ultimo scandalo in ordine di tempo è quello che riguarda l’operazione delle Nazioni Unite (Minustah – iniziata il 1° giugno 2004 a seguito della risoluzione numero S/RES/1542). Ci vorrà tempo per stabilire nei dettagli l’accaduto, ma quanto riportato questi giorni dalla ricerca della professoressa dell’Università di Birmingham, Sabine Lee, è sufficiente a stabilire che ci sono gravi responsabilità e che ancora una volta i caschi blu non hanno rispettato il codice etico dell’Onu.

Era già successo in passato in altri contesti, molte, troppe volte. Haiti è in fiamme da mesi (dal 7 febbraio 2019): le proteste si sono accese molto prima delle rivolte in Cile, in Ecuador, in Colombia, in Bolivia. Eppure di Haiti si è parlato poco. La popolazione chiede le dimissioni dell’attuale presidente Jovenel Moise che dal canto suo non sembra voler lasciare il potere. Povertà estrema, persone apolidi, dilagante corruzione, nessuna speranza per il futuro: queste sono alcune sfumature del complesso quadro nazionale già antecedente al disastroso terremoto del 12 gennaio 2010 (più di 220mila morti e 300mila feriti).

Le operazioni di aiuto umanitario portate avanti da più attori internazionali a seguito di quel terremoto non sono state scevre da scandali e polemiche. Basti ricordare le scuse pubbliche delle presidentessa di Oxfam International, Winnie Byanyims, a seguito delle accuse filtrate dal The Times (poi dimostratesi fondate) che volevano il personale internazionale di Oxfam coinvolto nello sfruttamento della prostituzione di giovani ragazze locali.

Haiti è dimenticata anche dai libri di storia. Non si parla di quella rivoluzione nera (14 agosto 1791 – 1 gennaio 1804), di quell’incredibile momento stellare dell’umanità che nel secolo dei lumi ha portato Touissaint Louverture a porre le basi per la creazione del primo paese libero e sovrano dell’America Latina. Proprio il primo presidente di Haiti, Alexandre Petion (presidente dal 1806 al 1818) fu chi aiutò lo sconfitto Simon Bolivar, esiliato in Giamaica, a ricostruire una missione militare che avrebbe poi portato dopo incredibili imprese alla fine dell’impero spagnolo del continente (Battaglia di Ayacucho, 1824).

Ma Haiti da 200 anni a questa parte è ormai oggetto della storia: ha perso il suo protagonismo, la sua soggettività e riappare nelle nostre vite come un ciclo infinito di notizie terribili, di morte, miseria, violenza e povertà. Haiti si merita di più, si merita quantomeno che la sua storia venga conosciuta, tramandata, studiata. Donne incredibili come la principessa Anacaona e uomini che hanno sfidato e sconfitto niente meno che Napoleone si meritano un posto migliore nelle nostre menti e nei nostri cuori. Oggi piangiamo ancora Haiti, domani oltre a chiedere giustizia dovremo impegnarci ad essere degni portavoce del suo grande ruolo nel mondo che oggi ci appartiene.

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