“Sono stato bravo a evitare la disperazione, lavorando sul cambiamento climatico per trent’anni. Ho imparato a tenere sotto controllo la mia inquietudine. Ma, negli ultimi mesi, sempre più spesso sono stato sveglio, di notte, preda di una vera e propria angoscia per i nostri figli. Nella scorsa primavera la concentrazione di anidride carbonica in atmosfera ha superato le 415 parti per milione, la più alta in molti milioni di anni”.

Lo aveva scritto su The New Yorker, a fine estate, Bill McRibben – co-fondatore del movimento 350.org che si prefigge di costruire un movimento globale per il clima e per informare sui rischi dei cambiamenti climatici. “Probabilmente l’ambientalista più influente della nazione” secondo il Boston Globe (2010). Il sostanziale fallimento del Cop25 di Madrid – focalizzato più sugli aspetti finanziari del meccanismo di calcolo dei crediti nel mercato globale del carbonio che sul benessere dell’umanità – non lo aiuterà di certo ad addormentarsi bene.

La lotta per frenare le emissioni globali di carbonio, necessaria a impedire che la Terra si riscaldi troppo e nella speranza che il freno sia anche sufficiente, dà la sensazione di una finzione kafkiana. In teoria, l’obiettivo è chiaro da almeno trent’anni ma – nonostante gli sforzi, anche seri, fatti in questa direzione – l’umanità non ha messo in pratica alcuna azione per raggiungerlo, nessun progresso è stato fatto. Oggi, le prove scientifiche sono quasi inconfutabili. E chi ha meno di cinquant’anni ha buone possibilità di assistere alla radicale destabilizzazione della vita umana sulla Terra. Con meno di vent’anni, ne sarà molto probabilmente testimone.

Le ricerche più recenti dimostrano che gli studiosi, lungi dall’esagerare la minaccia del riscaldamento globale, ne hanno sottovalutato la velocità e la gravità. Come ha riportato Scientific American la scorsa estate, l’Hadley Center del Met Office (Regno Unito) ha rivisto l’analisi storica delle temperature della superficie del mare: le acque marine si sono riscaldate per circa un decimo di grado Celsius più di quanto si pensasse in precedenza. Ciò che accade agli oceani è fondamentale per il clima terrestre. E quando gli scienziati prevedono un aumento di due gradi Celsius della temperatura media terrestre, stanno semplicemente citando un limite inferiore, di cui sono abbastanza sicuri: l’aumento sarà di almeno due gradi. In effetti, potrebbe essere anche e molto superiore.

Secondo un recente articolo pubblicato su Nature, le emissioni di carbonio delle infrastrutture già esistenti a scala mondiale, se gestite allo-stato-dell’arte per tutta la loro vita utile, supereranno la “tolleranza” del sistema Terra. Quanto verrà emesso – in base alle attuali decisioni in materia di energia elettrica, industria, trasporti, commercio, residenzialità – supererà le Giga-tonnellate di carbonio che si possono rilasciare nell’aria senza varcare la soglia della catastrofe climatica. Per invertire la rotta, i principali paesi inquinanti dovrebbero adottare misure draconiane di conservazione dell’ambiente, chiudere gran parte delle infrastrutture energetiche e di trasporto, riorganizzare completamente la propria economia.

Nulla di più lontano dalla realtà. Sebbene il movimento giovanile innescato da Greta Thunberg abbia raggiunto una dimensione planetaria, la gente è pessimista sul futuro del pianeta. Il successo, anch’esso planetario, di un libro che sto leggendo – The Unihabitable Earth. A Story of the Future, di David Wallace-Wells – testimonia questo pessimismo. La guerra a tutto campo contro i cambiamenti climatici ha senso solo fino a quando si ha la sensazione di poter vincere. Se si accetta la sconfitta, altre sono le azioni che hanno più senso. Prepararsi a tempeste, onde di calore, alluvioni, incendi, carestie, migrazioni diventa la cosa più urgente, anche se non è forse la più importante a medio e lungo termine. Ma tutti sappiamo che l’urgenza vince quasi sempre sull’importanza.

Più di 25 anni fa scrissi che “l’agenda del cambiamento è influenzata, soprattutto, dall’inerzia termica degli oceani, che ritarda la risposta del sistema climatico e può rallentare il processo di riscaldamento” (Effetto serra. Istruzioni per l’uso, 1994). Diversamente dalla smemorata nonnina – la simpatica vecchietta che, pur avendo vissuto tre o quattro inondazioni in vita sua, afferma nel post-alluvione tv che mai vide disastro siffatto – il sistema climatico ha una buona, lunga, inesorabile memoria. Si comporta come una motocicletta che reagisce alla rotazione della manetta del gas: la ripresa lenta della moto dipende dal fatto che il mezzo ha un certo peso, ossia è caratterizzato da una certa inerzia di massa, quella che nel sistema climatico dipende soprattutto dall’inerzia termica dei mari.

Come ha scritto Andreas Malm nel delineare una teoria politica del cambiamento climatico, “il riscaldamento globale è il risultato di azioni del passato” (The Progress of This Storm. Nature and Society, Verso, 2018). E ciò che stiamo sperimentando oggi è la risposta climatica e politica maturata negli ultimi cinquant’anni dalla Terra. Una storia d’inesorabile inerzia.

Da qualche giorno è disponibile una raccolta di scritti e dialoghi in tema di Disastri, edizione aggiornata a tutto il 2019. L’edizione del 2018 non è più disponibile. E potrà entrare tra le rarità editoriali come un Gronchi Rosa, ovvero fornire un buon materiale di riciclo, minuscolo contributo utile a ridurre la deforestazione.

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