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Unicredit: sì, capisco Mustier (tranquilli, non sono impazzito)

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Capisco Mustier, amministratore delegato di UniCredit. Non sono impazzito, tranquilli. Conosco perfettamente quella realtà e il piano strategico triennale presentato in settimana era, come sostengo da tempo, l’unica alternativa possibile per risanare UniCredit.

Vi starete chiedendo: “Ma di quale risanamento stai parlando, caro Imperatore, visto che comunque hanno deciso di remunerare gli azionisti nel periodo 2020-2023 con ben 16 miliardi di euro?”. Sembra quasi un paradosso, quindi, lo snellimento dei costi operativi del piano Team23 che prevede il taglio di 8mila dipendenti di cui 6mila circa in Italia.

Non lo è invece. Perché l’unico risanamento possibile che possa consentire a Mustier di consegnare a un gruppo straniero una banca capace di stare sul mercato rimane il rinnovamento dei circa 86 miliardi di neuroni che sono nella testa di ogni singolo dipendente di quella banca.

Perché sapete qual è la più grande sfida per la sopravvivenza che deve affrontare UniCredit? Non è la tecnologia. Non sono i tassi negativi che, con coraggio, Mustier ha deciso di far pagare al mercato. Non è la regolamentazione. Non è l’imminente competizione dei “big tech” e nemmeno delle FinTech. Non è la blockchain. Non è la perdurante crisi economica. Nulla di tutto questo. O meglio tutto questo, necessario e inevitabile per competere, si può realizzare a una sola condizione.

La vera sfida di UniCredit (e in genere di tutte le banche italiane) si combatte tra l’orecchio destro e l’orecchio sinistro dei quasi 85mila dipendenti, di cui 60mila circa in Europa occidentale. Nella loro testa. Uno spazio apparentemente piccolo ma in realtà immenso.

La resistenza al cambiamento è l’ostacolo più grande per l’evoluzione di UniCredit e per la sua sopravvivenza. E la resistenza al cambiamento risiede prima di tutto nei neuroni, nei pensieri, nelle emozioni, nelle abitudini, nelle azioni delle persone. Soprattutto quelle che operano nella “terra di mezzo”, dopo che il vecchio, logoro e incompetente top management è stato totalmente rimosso. Ora occorrerebbe lavorare su quel middle management rimasto ancorato a subdoli modi di lavorare che ha completamente depauperato il capitale di fiducia della banca. Molto prima che nelle strutture aziendali, nei processi, nei sistemi informatici e nelle strategie (che comunque hanno la loro grande rilevanza).

Quella banca ha goduto di rendite di posizione per un quarto di secolo. Di deliri di onnipotenza.

Da tempo sostengo che i grandi cambiamenti che hanno stravolto i settori economici negli ultimi 30 anni hanno interessato ancora relativamente poco il settore bancario. “Il peggio deve ancora venire”, scrivevo nel 2014 parlando di quella banca nell’ultimo capitolo di Io so e ho le prove (Chiarelettere).

Il momento è arrivato e ora proprio il settore bancario e in generale quello dei servizi finanziari è quello più esposto al cambiamento. Vivrà ciò che ha vissuto (e sta vivendo) la metallurgia a partire dalla fine degli anni ‘90 del secolo scorso. La campana di vetro che ha protetto il settore dal cambiamento si sta incrinando e sta per rompersi. Ma i silos delle gerarchie interne stratificate in decenni stanno ostacolando la necessaria evoluzione dei servizi e dei modelli di business delle banche.

Le persone che lavorano da anni nel settore non sono abituate a ragionare in termini di vera competizione. Di evoluzione dei servizi e dei modelli di business. Più che in altri settori il “si è sempre fatto così” è radicato nei banchieri e nei bancari. Quello che in molti settori è dato per scontato, nel settore bancario non è per nulla scontato. Il semplice miglioramento dei processi e dei servizi non sarà sufficiente per sopravvivere. Ma le persone, la cultura, la mentalità nel settore non sono pronte. Per adesso. E lo dovrebbero essere al più presto. E i sindacati, quanta ipocrisia, se ne accorgono solo ora.

Come si può superare velocemente la resistenza al cambiamento? Come si possono riconvertire le teste di decine di migliaia di persone, facendo acquisire loro le nuove competenze necessarie per recuperare la fiducia dei clienti? Cambiando le teste. Crudele ma inevitabile.

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