L’imperialismo statunitense appare per certi versi all’attacco in America Latina. Lo dimostrano, fra l’altro, la detronizzazione manu militari del legittimo presidente boliviano Evo Morales, con il suo contorno di massacri di manifestanti inermi. Come pure il vero e proprio fascismo che, con la benedizione di Donald Trump, si sta delineando in Brasile, dove il culto delle armi da fuoco sembra il vero cemento ideologico di un bolsonarismo sempre più in crisi e perdita di consensi.

Un altro elemento da analizzare in questo contesto è costituito dallo scatenamento di sanzioni contro Cuba, Venezuela e Nicaragua. Quelle contro Cuba non sono certo una novità, ma tendono ad assumere una rinnovata asprezza nonostante per l’ennesima volta l’Assemblea generale delle Nazioni Unite abbia votato praticamente all’unanimità che si tratta di palesi violazioni del diritto internazionale. Anche quelle contro il Venezuela vengono estese e rafforzate, così pure quelle contro il Nicaragua.

L’alibi è costituito, in tutti e tre i casi, dalla non coincidenza delle democrazie praticate in questi Paesi con l’idea di democrazia propria di Trump, che peraltro non si capisce bene quale possa essere. Tutti sanno peraltro che si tratta di un nuovo tentativo di punire tre Stati e tre popoli da tempo all’avanguardia nella liberazione dell’America Latina da poteri imperiali e oligarchie interne, in modo tale da destabilizzarli e attenuarne il valore d’esempio nei confronti degli altri Stati e popoli della regione.

Non si può dire che le sanzioni, pur nel loro innegabile costo umano, sociale ed economico, abbiano raggiunto finora grandi risultati politici. Cuba infatti si è dotata di una nuova Costituzione approvata in un referendum da poco meno di 7 milioni di cittadini, pari all’85,86% del corpo elettorale, che pone significativamente al centro la partecipazione democratica, i diritti umani e la riforma economica.

In Venezuela procede, nel consueto disinteresse dei media occidentali, il costruttivo dialogo tra il governo e l’opposizione, formata dai partiti Movimiento al Socialismo, Cambiemos, Soluciones para Venezuela, Avanzada Progresista a cui, successivamente, si sono aggiunti il partito Esperanza por el Cambio di Javier Bertucci e il Copei (Comitato di organizzazione politica elettorale indipendente), storica formazione politica venezuelana di matrice democristiana.

Obiettivi del tavolo di negoziato sono: il reintegro nell’Assemblea Nazionale del gruppo parlamentare del Psuv e gli altri alleati; la creazione di un nuovo Consiglio nazionale elettorale e l’approfondimento delle garanzie elettorali; il rilascio di 60 prigionieri politici; il sostegno bipartisan alla difesa dei diritti sul territorio del Esequibo stabiliti nell’accordo di Ginevra; la sospensione delle sanzioni statunitensi e la creazione di un programma di scambio tra prodotti petroliferi e medicine per mezzo delle Nazioni Unite.

Anche il Nicaragua, nonostante sanzioni e minacce di intervento armato, pare oggi presentare una situazione di tranquillità sociale e sviluppo economico, testimoniata fra l’altro dal fallimento di alcuni tentativi di destabilizzazione.

Nonostante la loro relativa inefficacia, tuttavia, le sanzioni statunitensi continuano a costituire un’inammissibile ingerenza negli affari interni di altri popoli e un’indubbia manifestazione di arroganza imperiale, che mal si addice a una potenza che con ogni evidenza ha imboccato la strada del declino ma che, come una belva ferita, può ancora fare molti danni, come si è visto da ultimo proprio in Bolivia.

Nell’interesse della pace, dei diritti umani e della democrazia, occorre quindi oggi siano abolite con effetto immediato le sanzioni imposte dal governo statunitense a Cuba, Venezuela e Nicaragua. L’Italia e l’Europa dovrebbero prendere posizione nettamente in questo senso ma tendono invece a tacere, così come tacciono sul golpe boliviano e sui crimini commessi in Cile e in Colombia. Fino a quando?

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