Vietato diffondere i comunicati e dichiarazioni di Amnesty International e Human Rights Watch. Vietato anche diffondere senza il consenso del governo centrale report internazionali o dossier come quello della Anti-defamation League – che dà conto del crescente antisemitismo in Ungheria, Polonia e Ucraina – o quello dell’Onu sul trattamento riservato ai figli dei migranti. Silenzio anche sulle proteste in Russia, i preti pedofili, la democrazia e libertà dei media. Succede nell’Ungheria di Viktor Orban, che dalla sua elezione nel 2010 ha progressivamente ridotto la libertà di stampa di giornali, tv e radio, fino ad arrivare alla censura deliberata dalla sua maggioranza.

Il 1 dicembre il quotidiano magiaro Nepszava ha dato conto del divieto stabilito dall’agenzia stampa ufficiale ungherese Mtva, controllata dal governo, di dare voce ad Amnesty e Hrw. “È inaccettabile e indegno di uno stato membro dell’Unione Europea”, ha affermato Hugh Williamson, direttore di Hrw per l’Europa e l’Asia centrale. “Si tratta – ha aggiunto – di un nuovo passo del governo ungherese contro la libertà di stampa, con l’obiettivo di mettere a tacere le organizzazioni della società civile e interferire nel loro impegno vitale”. La censura delle “vitali” informazioni diffuse dalle Ong che tutelano i diritti umani è “uno scandalo”, ha detto dal canto suo David Vig, direttore di Amnesty in Ungheria. Per Vig si tratta di “un nuovo colpo alla libertà dei media e un’ulteriore restrizione alle attività delle organizzazioni non governative in Ungheria. Il governo nega deliberatamente alle persone in Ungheria l’accesso a informazioni vitali agli abusi dei diritti umani in Ungheria e nel resto del mondo”. Budapest, peraltro, è da tempo nel mirino dell’Unione europea per le violazioni dello stato di diritto.

L’arrivo al potere di Orban è coinciso con la stretta ai media: a FqMillennium Barbara Trionfi, direttore esecutivo dell’International Press Institute, aveva infatti confermato che “è dal 2010 che la situazione sta degenerando, ma l’Europa non se n’è resa conto. Sono stati introdotti cambi molto graduali, difficili da percepire. Per Bruxelles era complicato fare barricate perché alcuni dei nuovi elementi introdotti, dal reato della diffamazione a mezzo stampa fino al carcere per i giornalisti, sono presenti anche in altri Paesi Ue”. Da allora sono stati tanti i media spariti da un giorno all’altro o comprati da uomini vicino a Orbán, che ne hanno poi stravolto la linea editoriale, trasformandoli in megafoni del governo. 2016: chiuso Népszabadság, uno degli ultimi giornali di sinistra, dopo essere stato comprato da investitori collegati a Fidesz. Due anni dopo, con la vittoria a valanga di Orbán, il prestigioso quotidiano conservatore Magyar Nemzet è stato prima chiuso poi rilanciato nella nuova veste filogovernativa. Chiuso anche Válasz, il settimanale conservatore più popolare e da sempre critico nei confronti del governo. Klubrádió, la principale radio indipendente sopravvissuta, si può sentire solo su internet e a Budapest perché depredata delle frequenze nelle zone rurali. Una strategia non lontana da quella della Polonia, precipitata nelle classifiche della libertà di stampa dal 2015, da quando il partito Diritto e giustizia (Pis) del suo padre e padrone Jaroslaw Kaczynski arriva al potere.

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