“Lavoravo per lo Stato e anche per la ‘ndrangheta, così si contenevano tante cose. Sono un ufficiale, congedato capitano della Legione straniera“. Si descriveva così Pasquale Nucera, 64 anni, ‘ndranghetista di Montebello Ionico (Reggio Calabria) ed ex collaboratore di giustizia, con un curriculum che attraversa gli anni bui delle Stragi e del progetto delle Leghe del Sud, con missioni da mercenario in Africa così come in Serbia, e testimonianze in importanti indagini di mafia. Ieri gli agenti della Digos di Genova lo hanno fermato con l’accusa di detenzione illegale di armi, dopo le perquisizioni di tre giorni fa nelle abitazioni dei 19 indagati del blitz ‘Ombre Nere’ della Dda di Caltanissetta, di cui è accusato esserne il ‘reclutatore’. “Le logge massoniche e i servizi segreti deviati, camminavano di pari passo, ma ancora oggi è così e per me è pericoloso dirlo perché sono tuttora attivi”, disse in un interrogatorio.

Nel corso delle perquisizioni sono state sequestrate armi (diversi fucili, 33 coltelli, 3 machete e una pistola) e materiale propagandistico nascosti nell’agriturismo in cui risiedeva a Dolceacqua (Imperia) e in un appartamento in Francia. Per i pm della Dda di Caltanissetta (aggiunto Gaetano Paci, sostituto Pasquale Pacifico) Nucera si proponeva come addestratore per formare ‘milizie’ di chiara matrice filonazista, xenofoba e antisemita. “Lanciamo una molotov contro l’Anpi, la facciamo tirare da un marocchino, così depistiamo”, diceva intercettato dagli investigatori del reparto ‘Servizio per il Contrasto dell’estremismo e del terrorismo interno’ della polizia. Lui che da ex legionario ed ex vicecoordinatore di Forza Nuova ad Imperia, sul suo profilo social – adesso sequestrato dalla polizia postale su disposizione della Procura nissena – si faceva chiamare Yavres Leon e tra foto in mimetica, svastiche e inni al fascismo e Mussolini, sbandierava gli scatti con Roberto Fiore, leader del partito.

“Sono entrato da piccolo nella ‘ndrangheta, poi ai Servizi interessò che collaborassi con loro”, disse nell’agosto 1996 ai pm della Dda di Palermo i titolari del fascicolo ‘Sistemi Criminali’ (archiviato nel 2001 per 14 indagati tra cui i Graviano, Riina e Licio Gelli) sulle Stragi e le influenze di ambienti di estrema destra nel riassesto politico dell’epoca. “La nostra locale era sotto la ndrina dei Iamonte, io ho lavorato per i servizi, ma non ero uno fisso – aggiunse – mi chiedevano informazioni, come ad esempio quelle sulle navi di rifiuti affondate in Calabria“. Nel 1994 era stato arrestato in Francia, mentre si trovava a Nizza. Venne estradato giusto in tempo per testimoniare al processo contro l’allora onorevole del Psi Giacomo Mancini, poi condannato per concorso esterno in associazione mafiosa. Fu lui a svelare per primo l’esistenza e la geolocalizzazione della nave ‘Laura C’, inabissata con oltre 1500 tonnellate di tritolo e sorgente per ndranghetisti fino a pochi anni fa.

Ai magistrati raccontò di una riunione avvenuta a Polsi il 28 settembre 1991 a cui avrebbero partecipato anche il boss Francesco Nirta, Giovanni De Stefano “che era un amico di Milosevice “l’armatore Matacena“, riferendosi all’imprenditore in esilio volontario a Dubai. “C’erano anche altre persone, altri politici e si parlò di fondare un “Partito degli Uomini” che doveva sostituire la Dc – aggiunse – ma durante la riunione mi allontanai per accompagnare un uomo all’ospedale”. Accuse ripetute in aula alcuni mesi fa, durante i processi ‘Breakfast’ e ‘Ndrangheta stragista’ in corso a Reggio Calabria. A metà anni novanta svelò un piano per far evadere dal carcere Totò Riina nel 1993 con la complicità di “un agente del Sisde e un agente libico che vendeva petrolio” e dei mercenari serbi guidati da Arkan. Da nostalgico raccontava ai pm di aver avuto “da sottoufficiale di legione, uomini di 36 nazionalità differenti ai miei ordini, formavo una sorta di compagnia di uomini a cui impartivo ordini”. Adesso aveva ricominciato a cercare nuove reclute.

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