Sarà anticipata di 7 mesi l’udienza in corte d’appello a Firenze sulla morte di Martina Rossi, la studentessa genovese di 20 anni precipitata dal balcone di una camera di albergo a Palma di Maiorca il 3 agosto 2011. Sull’accusa di tentata violenza sessuale di gruppo nei confronti di Luca Vanneschi e Alessandro Albertoni pende il rischio prescrizione, che scatterà nel 2021. E negli scorsi giorni era già stata dichiarato prescritto il reato di morte come conseguenza di altro reato, tra le proteste dei genitori della ragazza. “Per la giustizia italiana la morte di mia figlia non è esistita”, aveva detto il padre Bruno.

Come ha spiegato l’avvocato Stefano Savi, che assiste la famiglia Rossi, la presidente di sezione Angela Annese ha potuto anticipare la data, che era prevista a settembre con la prescrizione sempre più vicina, perché è stato assegnato un altro consigliere alla sezione consentendo così di rimodulare il carico di udienze. I due giovani di Castiglion Fibocchi sono condannati in primo grado a 6 anni per la morte della giovane. Secondo l’accusa, Martina Rossi precipitò dal balcone mentre cercava di fuggire da un loro tentativo di violenza sessuale: al ritorno dalla notte in discoteca la ragazza sarebbe salita in camera dei due giovani perché nella sua camera le amiche erano in compagnia degli altri due ragazzi della comitiva di aretini e avevano formato due coppie.

Secondo il pubblico ministero la giovane sarebbe stata oggetto di un tentativo di stupro, come proverebbe il fatto che i pantaloncini le erano stati sfilati e non furono mai ritrovati e come proverebbero anche i graffi al collo di Albertoni. Poi, sempre secondo il pm e i legali della famiglia Rossi, Martina avrebbe tentato una fuga disperata: vide il muretto sul balcone che separava la stanza dei due giovani da un’altra e lo considerò una via di fuga, ma in preda alla paura successiva all’aggressione e tradita dalla scarsa vista, poiché era miope e non aveva gli occhiali in quel momento, perse l’equilibrio e cadde nel vuoto, quasi sulla verticale del muretto stesso.

Il muretto che separava le due camere, un divisorio di circa un metro di altezza e quaranta centimetri di larghezza, secondo i legali della difesa, Stefano Buricchi e Tiberio Baroni, avvocati rispettivamente di Vanneschi e Albertoni, sarebbe stata, invece, la prova del suicidio della giovane perché – questa la tesi sostenuta durante tutto il dibattimento – poteva essere scavalcato con facilità, e se Martina avesse voluto scappare avrebbe potuto farlo senza grosse difficoltà.

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