Ritengo Massimo Recalcati uno degli intellettuali più lucidi e originali del nostro tempo. Non esagererei se dicessi che, per molti versi, lo considero un maestro: il cui merito sta, sul piano teorico, nell’aver portato l’attenzione sulla “evaporazione del padre” come cifra della nostra epoca attraversata dalla perdita dei legami e delle figure della Legge. Si è in questi giorni scaricata un’ondata di odio contro Recalcati, causata da una cattiva informazione: cattiva informazione che ha attribuito a Recalcati una frase infelice – “il sovranismo è una malattia mentale” – che egli non ha mai pronunziato.

E da lì si è scatenato l’odio contro di lui, da parte di masse di “logotomizzati” (privati del logos) che non pensano, ma solo diffamano e urlano. Voglio portare a Recalcati la mia solidarietà, dovuta alla stima intellettuale e umana che mi lega a lui. Tutto è nato da un’intervista radiofonica a Radio Capital, nella quale Recalcati ha mosso critiche dure e razionali al sovranismo, senza però mai pronunziare la frase incriminata. Poiché ritengo, come dicevo, Recalcati uno degli intellettuali più grandi del nostro tempo, mi permetto di rendergli quello che, in filosofia, è il massimo onore: una critica onesta, argomentata e amichevole.

Ad avviso dello psicanalista lacaniano, il sovranismo si potrebbe porre in connessione con un “inconscio fascista”, determinantesi della dilagante spinta a ri-territorializzare ciò che la dinamica propulsiva del desiderio di vita tende a rendere fluido e a de-territorializzare”. L’argomento di Recalcati, pur stimolante, non mi convince appieno. Non è affatto vero che la spinta a difendere i confini della propria nazione e a battersi contro le frontiere aperte sarebbe dettata da una specie di “inconscio fascista”. Può, in taluni casi, essere anche così: e diventa, allora, una patologia, una deviazione pericolosa. Ma siffatta generalizzazione appare infondata.

Basti ricordare che la difesa dei confini e della sovranità è anche la consapevole battaglia di chi vuole difendere la democrazia e i diritti sociali, contrastando il moto globalista di de-democratizzazione e di competitivismo no border. Non è forse vero che, nel moderno, la democrazia è esistita sempre “incapsulata” nei confini degli Stati nazionali?

La nostra stessa Costituzione si apre con una dichiarazione di sovranismo populista, che difficilmente – me lo concederà Recalcati – potrebbe essere ricondotta all’“inconscio fascista”: sarebbe quanto meno paradossale immaginare i padri costituenti mossi al sovranismo da… inconscio fascista!

La Costituzione definisce così la democrazia, come sovranità popolare nello Stato, a sua volta implicante la sovranità dello Stato. Personalmente non credo che la mera analisi psicanalitica, che certo può essere utile, basti di per sé a risolvere la questione: se i sovranisti sono mossi da un inconscio agorafobico, i globalisti sono animati da un inconscio claustrofobico?

La vecchia dicotomia marxiana tra dominanti e dominati può aiutarci a una migliore comprensione della questione, dacché porta l’attenzione sui concreti “interessi materiali”: e chi ha davvero l’interesse alla openness? Gli operai di Mirafiori, che così dovranno competere con i lavoratori dell’India e perdere ogni diritto in nome della concorrenza? O, invece, gli apolidi del capitale no border e della finanza multinazionale, che nella open society potranno tutelare al meglio i loro interessi (delocalizzazioni e dumping salariale in primis)?

Il conflitto tra dominanti e dominati, oggi, si determina anche come conflitto tra l’autonomia nazionale e l’apertura finanziaria: i globocrati aspirano ad abbattere le sovranità nazionali per annientare la possibilità della regolamentazione statale dell’economico e gli spazi della stessa democrazia parlamentare. Se lo Stato sovrano nazionale può (e a mio giudizio deve) essere socialista e democratico, la global economy senza confini non lo sarà strutturalmente mai.

Lo Stato è dialettico, può essere il campo del conflitto tra pulsioni regressive e nazionaliste (bene evidenziate da Recalcati) e pulsioni democratiche e socialiste (di cui Recalcati, purtroppo, non fa motto). Welfarismo, keynesismo e interventismo politico nel mercato non presuppongono forse i confini e la sovranità nazionale? Lo stesso internazionalismo di Marx e di Lenin, che nulla ha di nazionalista regressivo, non implica forse la sovranità e l’autonomia di nazioni sorelle, che si rapportano pacificamente?

È un peccato che Recalcati, nella sua intervista, non veda nella sovranità e nei confini se non forme di chiusura e di blocco: questa, come dicevo, è la forma patologica in cui può precipitare il concetto di sovranità e di confine. È un peccato che Recalcati non ravvisi nella sovranità nazionale la base di un riscatto – nel pieno rispetto della nostra Costituzione – del popolo sofferente (classi lavoratrici in primis) contro il padronato cosmopolitico.

Eppure vi sarebbero, nel pensiero di Recalcati – che, ripeto, è uno dei punti più alti del nostro presente – tutte le basi per chiarirlo: ricordo, a tal riguardo, lo splendido libro di Recalcati intitolato I tabù del mondo. Figure e miti del senso del limite e della sua violazione. Consiglio a tutti di leggerlo. Non è forse, caro Massimo, la openness globalista una delle figure più perniciose della violazione del limite?

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